· Città del Vaticano ·

Il documentario «Fellini e l’ombra» di Catherine McGilvray alle Giornate degli autori

Tra Chiesa e psicoanalisi

 Tra Chiesa e psicoanalisi  QUO-201
06 settembre 2021

«Il libro dei sogni» è la raccolta di disegni di Federico Fellini legati al suo immaginario onirico, un diario visivo-pittorico nato su suggerimento dello psicoanalista Ernst Bernhard e tenuto dall’autore tra gli anni Sessanta e metà anni Ottanta. Le creazioni che oggi campeggiano anche nel Fellini Museum di Rimini — appaiono magicamente sulla parete al soffio di una piuma — rappresentano la scrittura onirica del regista, soglie che ci permettono di entrare nelle caverne dei suoi desideri e delle sue paure. Potremmo definire Il libro dei sogni un romanzo onirico postumo, pubblicato per la prima volta nel 2007 a cura di Tullio Kezich e Vittorio Boarini, che ha avviato una serie di studi e di documentari per comprendere e decifrare il “giardino delle immagini” felliniane.

Ad aggiungere un prezioso tassello in questo viaggio nelle pieghe dell’animo e della creatività del regista riminese è ora il documentario Fellini e l’ombra, opera diretta da Catherine McGilvray e prodotta da Célestes Images e Verdiana, presentata alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia nella sezione Giornate degli autori; in particolare il documentario su un autore così intrecciato alla biografia dei cosiddetti “preti del cinema” e al centro di accesi dibattiti e polemiche tra sponde opposte dello stesso universo cattolico, offre anche l’occasione per riprendere le fila sul rapporto tra la psicoanalisi e la Chiesa (e, più in generale, tra la psicoanalisi e una prospettiva credente della vita), che è stato segnato per lungo tempo da reciproca incomprensione e aperta opposizione. Le ostilità vertevano (e in parte vertono ancora) su due capisaldi della dottrina psicoanalitica, o più precisamente su una loro interpretazione riduttiva: la concezione della sessualità da una parte e la relazione tra la morale inconscia e quella cosciente dall’altra.

Un primo segnale di distensione si deve a Pio xii . Nel discorso indirizzato ai partecipanti del Primo congresso internazionale di istopatologia del sistema nervoso nel 1952, Papa Pacelli affermò che «non è provato ed è perfino inesatto sostenere che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia degna di tal nome». Siamo ben lontani, comunque, da una qualsiasi forma di apertura. Ancora nel 1961, sotto il pontificato di Giovanni xxiii , il Sant’Uffizio proibisce formalmente ai seminaristi e ai membri del clero di rivolgersi agli psicoanalisti. Per una apertura vera e propria — seppur ancor prudente — sarà necessario attendere il cambio di paradigma segnato dal concilio Vaticano ii e assunto da Paolo vi : Papa Montini è il primo Pontefice ad aprire alla possibilità di confronto e di ricorso alla psicoanalisi, e più in generale alle “scienze” psicologiche.

Nel frattempo, gli eredi di Sigmund Freud — in primis Carl Gustav Jung e Jacques Lacan, tra i più autorevoli — avevano riletto la dottrina del padre della psicoanalisi impedendone la cristallizzazione e, forse, facilitando la ricucitura dello strappo tra psicoanalisi ed esperienza credente.

In questo percorso, nel 2017 il sociologo francese Dominique Wolton, nel suo libro Politique et société, raccoglie la testimonianza di Papa Francesco. «Ho consultato — racconta Bergoglio — una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni».

Inoltre, al centro del reciproco sospetto, per tentare di ripensare il rapporto tra la psicoanalisi e l’esperienza di fede attestata nelle pagine bibliche, si sono moltiplicati anche i seminari sul rapporto tra psicoanalisi e Bibbia (si pensi al seminario Ripensare il rapporto tra Bibbia e Psicoanalisi che si è svolto alla Pontificia Università Gregoriana tra il 2017 e il 2019) e i centri di studio dedicati al tema come ad esempio il Dipartimento di studi «Bibbia e Psicoanalisi» della Società Milanese di Psicoanalisi.

Si staglia lungo questo orizzonte, offrendo interessanti guadagni, il documentario diretto da Catherine McGilvray, firmato dalla stessa regista insieme a Bruno Roberti e Caterina Cardona. Il soggetto in breve: una documentarista portoghese, Claudia, annota tutto quanto le potrà essere utile per un film su Federico Fellini, meglio sulle tracce del rapporto tra il maestro e la psicanalisi junghiana di cui il Libro dei Sogni è straordinario custode.

«La mia conoscenza della psicanalisi — sono parole di Fellini in apertura del documentario — è così estremamente dilettantesca e molto approssimativa… Ho letto qualche saggio di Jung e mi sembra di poter affermare, in tutta sincerità, che Jung è una specie di scienziato veggente che ha toccato le corde più profonde e più sacre e del mistero umano». A queste parole segue il titolo del documentario, Fellini e l’ombra, che evoca alcune delle questioni centrali dell’approccio junghiano e nel contempo le immagini del finale del film E la nave va (1983), opera nella quale si racconta la dispersione delle ceneri della cantante lirica Edmea Tetua al crocevia della Grande guerra, momento che decreta la morte del divismo e la fine di un’epoca. Sempre nelle sequenze finali del film E la nave va compare un rinoceronte, con il suo carattere ancestrale, metafora di valori e ideali di una cultura tradizionale gradualmente relegati e resi insignificanti, addirittura nascosti. Eppure, “la nave va”, ovvero come diceva Eraclito «uscire ed entrare sono il medesimo».

E mentre il documentario Fellini e l’ombra ripropone lo svelamento del set di quel film del 1983 e della costruzione dell’impianto che muove la tolda della nave, si colgono chiaramente le parole del regista riminese: «Faccio un film come in fuga, come fosse una malattia da scontare, insofferente pieno di rancore guardo il film come un malanno di cui liberarmi e mi illudo che la salute sia il momento nel quale mi allontanerò dal film. Un film per me è veramente qualcosa di assai vicino a un sogno, amico ma non voluto, ambiguo ma ansioso di rivelarsi, vergognoso quando viene spiegato, affascinante finché rimane misterioso».

Procedendo lungo la narrazione del documentario, trovano risonanza poi le parole del giornalista-scrittore Gianfranco Angelucci: «È molto importante perché Jung arriva a raccontare a Federico, cioè Bernhard attraverso Jung, raccontare a Federico che la sua strada è quella giusta. Simenon, che era un grandissimo scrittore suo amico, aveva scritto di Federico che era un uomo completamente sincero e perché amava la creatura umana e non l’avrebbe mai tradita. Una cosa che sempre diceva Federico, immagino ripetendo Bernard, il sogno non mente mai».

Nell’opera della McGilvray non può mancare infine un approfondimento sulla figura di Giulietta Masina, moglie, amica, interprete e musa del grande regista. Giulietta è un capitolo imprescindibile per l’opera e la creatività di Fellini. «Ho sempre considerato — dice Fellini — l’incontro con Giulietta un incontro di destino. Non mi pare che le cose potessero andare diversamente. Si tratta di un rapporto antico che sarei portato a considerare addirittura preesistente al giorno in cui si è avverato. Giulietta è una creatura misteriosa che può riflettere nel rapporto con me una struggente nostalgia di innocenza di una moralità più compiuta». Il loro sodalizio ha inizio con Lo sceicco bianco (1952) e trova però l’apice dell’intensità artistica tra La strada (1954, Oscar miglior film straniero), Le notti di Cabiria (1957, Oscar miglior film straniero) e Giulietta degli spiriti (1965). Un duetto che si spinge anche lungo i confini della maturità artistica con il malinconico Ginger e Fred (1985), dove la Masina e Mastroianni impersonano due divi sul viale del tramonto della carriera, come pure della vita; un racconto dove anche l’immaginario di Fellini sembra sbiadire dinanzi a un mondo del cinema e dello spettacolo sempre più vorticoso, fagocitante e superficiale.

Proprio sul rapporto con la Masina sottolinea Angelucci nel documentario: «Quando lo pervade il senso di colpa, la sua paura è quella di poter perdere Giulietta, cioè di poter vedere con Giulietta il suo rapporto con la creatività che si possa interrompere. Questo rapporto magico che è nato con Giulietta. Il 20 gennaio del 1961, che è il giorno del suo compleanno, Federico sogna che Giulietta è morta, la rappresenta come dice lui come una maga santa distesa sul tappetino per terra con un cappello a punta come se fosse veramente una maghina».

E quella “maghina” torna spesso anche nelle parole di Papa Francesco. Rivolgendosi, infatti, alle comunità dello spettacolo viaggiante nel 2016 Papa Bergoglio afferma: «Quando suonavano quella bella musica del film La strada, io ho pensato a quella ragazza che, con la sua umiltà, il suo lavoro itinerante del bello, è riuscita ad ammorbidire il cuore duro di un uomo che aveva dimenticato come si piange. E lei non lo ha saputo, ma ha seminato!». Di recente, poi, Papa Francesco, intervistato per il libro Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità (2021), ha aggiunto: «La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. M’identifico molto in quel film, in cui troviamo un implicito riferimento a san Francesco. Fellini ha saputo donare una luce inedita allo sguardo sugli ultimi. In quel film il racconto sugli ultimi è esemplare ed è un invito a preservare il loro prezioso sguardo sulla realtà. Penso alle parole che il Matto rivolge a Gelsomina: “Tu sassolino, hai un senso in questa vita”. È un discorso profondamente intriso di richiami evangelici. Ma penso a tutto il percorso di Gelsomina: con la sua umiltà, con il suo sguardo pienamente limpido, riesce ad ammorbidire il cuore duro di un uomo che aveva dimenticato come si piange. Questo sguardo puro degli ultimi è capace di seminare vita nei terreni più aridi. È uno sguardo di speranza, che sa intuire la luce nel buio: per questo va custodito».

Se dunque, come indicato in apertura, il rapporto tra psicoanalisi e Chiesa non è ancora del tutto risolto, di certo possiamo affermare che lo sguardo di Federico Fellini, che ondeggia tra realtà e sogno, tra conscio e inconscio, è in grado di offrire non poche soglie di dialogo e incontro; uno spazio, quello della sua poetica, dove trovano posto anche il sacro e le sue manifestazioni. Un caleidoscopio di fulgide suggestioni che ben coglie il documentario Fellini e l’ombra di Catherine McGilvray.

di Dario E. Viganò