· Città del Vaticano ·

In Etiopia la rete della Chiesa salva vite e futuro

 In Etiopia la rete della Chiesa salva vite e futuro  QUO-194
28 agosto 2021

Manca tutto: cibo, acqua pulita, farmaci, sementi. Le famiglie, già povere, hanno perso ogni cosa. La guerra ha costretto cinque milioni di persone a vivere in miseria. Nel novembre 2020 la regione del Tigray, in Etiopia, è stata travolta da un conflitto di carattere etnico. Sembrava che gli scontri si fossero fermati poche settimane dopo l’inizio. Invece le tensioni non sono mai terminate innescando una gravissima crisi umanitaria.

«Abbiamo cercato insieme ad altre confessioni religiose — ha detto il reverendo Teshome Fikre, segretario della Conferenza episcopale etiope, in un recente incontro organizzato da Caritas italiana — di evitare che parlassero le armi. Abbiamo promosso il dialogo tra le parti. Anche Papa Francesco è intervenuto per scongiurare il conflitto. È stato tutto vano. Abbiamo quindi deciso di scendere in campo per aiutare la popolazione civile che, in questa come in tutte le altre guerre, è la prima vittima degli scontri». Proprio una delegazione della Chiesa cattolica (realtà che in Etiopia rappresenta solo l’1 per cento degli abitanti) è riuscita, di recente, poco dopo la prima fiammata di combattimenti, a entrare nella regione e a visitare Macallè, il capoluogo del Tigray. «Qui abbiamo trovato una situazione preoccupante — ha continuato il religioso — la gente, impaurita, era fuggita. Le strutture sanitarie e le scuole erano state danneggiate e saccheggiate».

Quando rientrano ad Addis Abeba, i vescovi decidono di lanciare un appello alle Chiese cattoliche di tutto il mondo, attraverso la Caritas Internationalis. La risposta è stata ampia. La rete ha lanciato il programma di risposta emergenziale Humanitarian Operation for Peaceful Coexistence (Hope) proposto e coordinato da Caritas Etiopia. Tra le Caritas che supportano questo programma, in prima linea c’è quella italiana. «Il progetto — spiega Nicoletta Sabbetti, coordinatrice regionale dell’Africa orientale per Caritas italiana — è partito a gennaio e viene portato avanti in collaborazione con Caritas Etiopia e le diocesi di Adigrat, Bahir Dar - Dessie e Soddo, grazie anche ai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica. Lavora su più piani per aiutare la popolazione sotto il profilo dell’alimentazione e quello sanitario». È prevista la distribuzione di coperte, materassi, recipienti per la raccolta dell’acqua, ma anche la distribuzione di voucher per il cibo, acqua pulita. Sotto il profilo medico sono implementati interventi nutrizionali per i bambini al di sotto dei 5 anni, supporto medico per la popolazione, kit di pronto soccorso, distribuzione di materiale per la prevenzione dal coronavirus (mascherine, gel disinfettanti). A ciò si aggiunge «un intervento sanitario in collaborazione con Medici con l’Africa-Cuamm per il sostegno di sette centri sanitari, sei nel Tigray e uno nella regione di Amara, per la fornitura di assistenza medica d’urgenza alla popolazione colpita dalla crisi e la riabilitazione del centro sanitario di Idaga Hamus. Sono interventi impegnativi, ma fondamentali per assistere una popolazione che, oltre alle ferite di guerra, deve continuare a far fronte alle patologie endemiche della regione. Pensiamo alla minaccia rappresentata dalla malaria oppure dalla diarrea che per i piccoli sotto i 5 anni può essere letale».

Le strutture sanitarie e quelle scolastiche sono una priorità per la Chiesa cattolica etiope. «Salvare le vite umane è fondamentale — ha osservato padre Fikre — ma dobbiamo anche pensare al futuro. Recuperare i centri medici e le scuole significa mettere le basi per una ripresa della vita comune in un ambiente duramente colpito dalla guerra. In questo senso l’intervento di Caritas italiana e Cuamm è fondamentale perché va proprio nella direzione di una ricostruzione del sistema sanitario».

Il progetto dell’ente caritativo italiano però guarda anche alla ripresa economica. Tra gli impegni c’è quello della distribuzione di sementi. «Resta particolarmente preoccupante — osserva Sabbetti — la situazione alimentare per una larga parte del Tigray che registra livelli di carenza di cibo tra le più gravi, sull’orlo della carestia con i primi morti per fame già nel febbraio 2021. La distribuzione di sementi può aiutare i contadini a riprendere le loro attività e garantire quel minimo vitale per rilanciare l’economia locale e sostenere le famiglie e i villaggi. Fondamentale è garantire l’accesso umanitario e mantenere il flusso di comunicazione con le comunità in loco».

Il conflitto tra le forze del Tigray e l’esercito ora si è esteso anche nell’Amhara e nell’Afar. Secondo il governo, 300.000 persone hanno già dovuto lasciare le proprie case in queste due regioni a causa dei combattimenti.

«Noi lavoriamo sempre per la pace e affinché si affermi un dialogo sincero tra le parti. Nel frattempo — ha concluso il segretario Fikre — cercheremo di aiutare tutta la popolazione senza differenza di fede, etnia o appartenenza politica».

di Enrico Casale