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La buona Notizia Il Vangelo della xxi Domenica del tempo ordinario (Giovanni 6, 60-69)

Il Dio che resta

 Il Dio che resta  QUO-184
17 agosto 2021

Che non si vive di solo pane Israele ha l’opportunità di impararlo durante il lungo cammino nel deserto (cfr. Dt 8, 3), quando scopre che può liberarsi dalla dittatura dei bisogni e soddisfare la proprio sete di alleanza aprendosi alla bellezza di relazioni intime, genuine, destinate a durare. A partire dal rapporto con quel Dio «unico» (Dt 6, 4), «vicino» (Sal 33, 19), che è tutto sensibilità e compassione, che vuole tessere con i suoi figli un’alleanza d’amore e operare in sinergia con loro. Egli, infatti, mai si stanca di adoperarsi per rendere santi i suoi figli «purificandoli con il lavacro dell’acqua mediante la sua parola» (cfr. Ef 5, 26) che è «spirito e… vita» (Gv 6, 63) e può pertanto estrarre chiunque dalla tana dell’individualismo e forgiare in lui un cuore comunionale, capace cioè di assumere sul serio l’alterità, investendosi nella genesi di un corpo comunitario: il popolo dell’alleanza.

«Non di solo pane vivrà l’uomo» (Mt 4, 4) afferma il Figlio di Dio nel suo personale deserto dinanzi alle seduzioni del tentatore che in tutti i modi cerca di porre il sospetto sulla sua filiazione divina o di leggerla in modo deformato, attraverso un messianismo eclatante volto ad imporsi con effetti speciali e non con l’umiltà di chi coltiva pazientemente il germe della fede nei cuori.

Anche la tristezza e l’insoddisfazione che albergano nel cuore dei ricchi egoisti confermano che l’uomo non vive solo di ciò che entra nella bocca ma soprattutto di ciò che esce, cioè della parola dell’uomo che ha il potere di tessere i rapporti interpersonali e della Parola di Dio che illumina la storia e la orienta verso il suo fine che è anche il suo inizio: l’amore.

Eppure l’essere umano ama più il pane della parola e non solo quando ha fame… Il pane, infatti, può diventare un’ossessione, può essere persino l’obiettivo della vita quando si diventa “macchine da lavoro” che consumano il tempo per produrre «un pane di fatica» (Sal 126, 2). Così anche le folle al seguito di Gesù, che hanno mangiato non un pane di fatica ma quello che il Signore concede ai suoi amici nel sonno (cfr. Sal 126, 2), sono state così soddisfatte per quel beneficio da dimenticare il Benefattore, chiudersi alla relazione con Gesù e rendersi impermeabili alla sua Parola. Eppure Gesù aveva invitato le folle a darsi da fare per il cibo che «rimane» (Gv 6, 27): la sua carne e il suo sangue offerti «per la vita del mondo» (Gv 6, 51). Questo dono però è lo scoglio contro cui s’infrange la razionalità non solo delle folle ma anche dei discepoli. È uno scandalo che fa inciampare. Non resta altro che fuggire e tornare alla vita di “un tempo”.

«Volete fuggire anche voi lontano da me?» chiede Gesù ai Dodici (cfr. Gv 6, 67) e Simon Pietro s’infiamma di zelo per lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68). Sulle sue labbra sboccia una confessione di fede simile a quella che Israele aveva espresso a Sichem: «Lontano da noi abbandonare il Signore… che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile… ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso…» (Gs 24, 16-17).

Israele e la Chiesa sanno bene che cercare il Signore per amarlo, stare con lui e godere della sua presenza è il beneficio più grande che si possa ricevere. E noi lo sappiamo? Cosa cerchiamo quando ci mettiamo sulle tracce del Signore? Cerchiamo Dio o le cose di Dio? Perché le cose passano mentre Dio solo resta.

di Rosalba Manes