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Vent’anni di guerra per che cosa?

Internally displaced families sit inside a school after they left their house following fighting ...
09 agosto 2021

Vent’anni di guerra, atrocità e immani sofferenze, per che cosa? È questa la domanda inevitabile che emerge di fronte alle ultime notizie dall’Afghanistan, dove i talebani stanno rapidamente riconquistando il territorio. In meno di 24 ore i ribelli hanno conquistato altri due importanti capoluoghi di province: Sar-e-Pul e Kunduz. Impossibile fare previsioni, ma l’impressione è che il Paese stia ricadendo in una spirale di violenza difficile da controllare.

Kunduz, che è già caduta due volte negli ultimi anni nelle mani degli insorti, nel 2015 e nel 2016, è un importante crocevia strategico nel nord dell’Afghanistan, tra Kabul e il Tagikistan. La sua conquista è il principale successo militare dei talebani dall’inizio della loro offensiva scattata nel maggio scorso approfittando del ritiro delle forze internazionali, che dovrebbe essere completato entro il 31 agosto. I media locali hanno parlato di violenti combattimenti tra esercito e ribelli nella città, per diverse ore. Molti negozi e centri abitati sono stati dati alle fiamme. Centinaia di famiglie sono state costrette ad abbandonare le proprie case.

Da segnalare anche la tragedia di una famiglia, i cui membri sono tutti morti a causa dell’esplosione di una mina sotto al veicolo dove stavano viaggiando nel distretto di Sayed Karam. Lo ha riferito ieri all’agenzia Anadolu il comando di polizia di Paktia, la provincia dell’est dove è avvenuta la strage. I talebani hanno disseminato mine su tutte le strade di Sayed Karam prima di abbandonare il distretto, respinti dalle forze governative che lo hanno riconquistato.

Gli Stati Uniti hanno inviato alcuni bombardieri per sostenere gli sforzi delle truppe afghane nel fermare l’avanzata dei talebani. I bombardieri, che vanno ad affiancare i droni Reaper già in azione, sarebbero partiti da una base aerea in Qatar e saranno impiegati per colpire obiettivi nelle zone di Kandahar, Herat e Lashkar Gah. I media riferiscono che il presidente Biden non ha alcuna intenzione di modificare il calendario del ritiro.

di Luca Possati