La grande aula di giustizia allestita nei Musei vaticani ha ospitato martedì 27 luglio la prima udienza del processo in Vaticano per reati finanziari compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. L’udienza, presieduta da Giuseppe Pignatone (a latere i giudici Venerando Marano e Carlo Bonzano), è durata sette ore, alla presenza di una trentina di avvocati, giornalisti e gendarmi, e solo due dei dieci imputati: monsignor Mauro Carlino e il cardinale Giovanni Angelo Becciu, già sostituto della Segreteria di Stato, accusato di peculato, abuso d’ufficio anche in concorso e subornazione. Il porporato, al quale il Papa ha revocato le prerogative del cardinalato, ha presenziato a tutta l’udienza seduto all’ultimo dei tre banconi. Al termine, ha ricordato di essere «obbediente al Papa che mi ha rinviato a giudizio», dicendosi «sereno» e «fiducioso» nella capacità dei giudici di riconoscere la sua innocenza. Inoltre ha annunciato di aver dato mandato di denunciare per calunnia monsignor Alberto Perlasca e Francesca Immacolata Chaouqui.
Tutti gli avvocati della difesa hanno presentato i loro rilievi, a cominciare da Luigi Panella, difensore del finanziere Enrico Crasso e delle sue tre società (Prestige Family Office Sa, Sogenel Capital Investment, Hp Finance), il quale ha eccepito sulla costituzione di parte civile dell’Apsa e dello Ior, e ha lamentato la mancanza di «numerosissimi atti» nel fascicolo, che consta di 28 mila pagine. Contestabile poi, secondo il legale, il fatto che l’impianto processuale si basi su quattro Rescriptum del Papa: «Il dubbio è se un atto amministrativo possa derogare la legislazione vigente». I provvedimenti papali, inoltre, avrebbero introdotto procedure penali “ad hoc” per il processo; cosa che, a detta del difensore, renderebbe quello vaticano «un Tribunale speciale».
Tra le istanze quella di Giandomenico Caiazza, difensore del broker Raffaele Mincione, che ha dichiarato di essere venuto «casualmente» a conoscenza di un mandato di cattura emesso il 19 giugno 2020 nei confronti del suo assistito. Mandato mai eseguito e ancora pendente; Pignatone lo ha revocato al termine dell’udienza. Il legale di Cecilia Marogna, Fiorino Ruggio, ha chiesto invece lo stralcio e il rinvio perché il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) italiano ha disposto un’indagine e l’ascolto della donna in base a un esposto correlato alla richiesta di essere liberata dal vincolo del segreto.
Ai rilievi degli avvocati ha risposto Paola Severino, ex ministro della Giustizia del governo italiano e legale per la parte civile della Segreteria di Stato, che ha evidenziato il «forte connotato morale» del processo e ribadito, a più riprese, che «il Papa è il legislatore». Il promotore di giustizia, Gian Piero Milano, ha rimarcato la «suprema potestà» del Papa, invitando a non guardare al processo «con occhi da giurista». Ampia la risposta del promotore aggiunto Alessandro Diddi, che ha replicato a ognuna delle eccezioni, spiegando anche che il mandato di cattura nei confronti di Mincione è stato deciso dopo che nel giugno 2020, in una fase «cruciale» delle indagini, si stava verificando «un tentativo di depistaggio».
Dopo oltre un’ora di camera di consiglio, il presidente Pignatone ha stabilito il giudizio in contumacia di tutti gli assenti alla prima udienza, ad eccezione del cardinale Becciu, di monsignor Carlino e di Torzi che non partecipa per legittimo impedimento. Il broker è destinatario di una misura cautelare, che prevede anche il braccialetto elettronico, emanata il 28 aprile 2021. La prossima udienza è stata fissata al 5 ottobre.
di Salvatore Cernuzio