Un uomo “innamorato” dei poveri, nei quali vedeva e serviva Gesù. Dino Impagliazzo, 91 anni, fondatore dell’associazione RomAmoR, membro dei Focolari, nominato due anni fa commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana per la sua «preziosa opera di distribuzione di pasti caldi e beni di prima necessità ai senzatetto» di Roma, si è spento domenica 25 luglio nella città, lui sardo di origine, che l’aveva adottato.
A Roma era conosciuto come lo “chef dei poveri”. Nel 2016 aveva incontrato Papa Francesco al Villaggio per la Terra a Villa Borghese e aveva portato al Pontefice il saluto da parte di tutti i senzatetto. Dino Impagliazzo lascia la famiglia di quattro figli, tra cui Marco, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ma soprattutto lascia nei tanti che ha incontrato di ogni razza e religione una eredità preziosa in Italia e nel mondo, l’eredità del Vangelo vissuto nelle parole di Gesù: «Qualsiasi cosa avete fatto a questi piccoli l’avete fatta a me».
Al fianco di Dino sin dall’inizio della sua avventura per i più bisognosi c’è stata, con tanti altri, Gina Riccio, che oggi racconta gli anni trascorsi con lui come volontaria. «L’ho incontrato quando Dino ha iniziato ad aiutare i senza fissa dimora della Stazione Tuscolana e ci ha inondati tutti del suo spirito. Straordinario sia morto proprio nella Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, mentre il Papa lanciava ancora una volta il messaggio di cura e di fratellanza specie per i più fragili e mentre il Vangelo narrava del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Dino ci ha insegnato la relazione, a non aver timore di ciò che manca e a lasciarci trasportare dalla Provvidenza. Quando ci accorgevamo di non avere quello che serviva per rispondere a delle richieste, ecco che ci arrivava sempre olio, cibo, pacchi da qualcuno che non aspettavamo. Davanti a questo Dino ci ha sempre spronato e offerto la testimonianza che solo l’amore resta e porta con sé una sinergia di intenti che permette di non fermarsi alle chiusure o agli ostacoli. Anche negli ultimi giorni — conclude Gina Riccio — quando stava più male, si preoccupava di come svolgessimo il nostro impegno. Voleva essere in prima linea e anche da lontano ci chiamava e ci sollecitava. Uno spirito combattivo il suo e pronto a far fruttare lo spirito di unità: apriamo sempre il cuore, ci diceva, proviamoci sempre».
di Gabriella Ceraso