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Bailamme

Il ministero della poesia

 Il ministero della poesia   QUO-165
23 luglio 2021

«Sopporta cuore mio» (Odissea, lib. xx ). Così Ulisse inizia uno straordinario monologo con sé stesso. Dopo immense peripezie è riuscito a tornare a casa, ma sente fremere dentro di sé l’istinto della vendetta, della strage dei responsabili, di tutti coloro che hanno vissuto per anni aggrappati alla sua tragedia. Omero mette in scena qualcosa di straordinario, un dialogo interiore: Ulisse (ragione) parla ad Ulisse (cuore). L’interiorità è la grande capacità di saper intessere un discorso con sé stessi. Non sono più d’aiuto i semplici ragionamenti, c’è bisogno di qualcosa che dia forma a ciò che ci portiamo dentro. La poesia diventa così il grido che sale dal profondo della nostra esperienza. Senza un alfabeto adatto questo grido rimarrebbe soffocato e diventerebbe angoscia, violenza, desiderio di morte. Ecco perché i poeti sono dei benefattori, perché non sono al mondo per intrattenere con melliflue parole, ma sono al mondo per prestare le parole giuste a chi queste parole non le trova ed è condannato al silenzio. La poesia è un ministero di umanizzazione, è la voce che Ulisse trova dentro di sé per cantare l’inafferrabile sua esperienza.

Anche ai nostri giorni tristi e faticosi, quelli della pandemia, è accaduto questo miracolo. Eravamo tutti in apnea, sgomenti per le morti, le distanze, il silenzio, il dolore sordo e ingestibile, cadenzato da bollettini di guerra ripetuti costantemente da ogni media. In questo nostro tempo difficile solo i poeti ci hanno fatto respirare perché hanno donato a ognuno il diritto di piangere e pensare contemporaneamente.

È accaduto così anche per una poetessa italiana, Mariangela Gualtieri, che nei mesi più bui ha scritto una poesia, 9 marzo 2020, mettendo in luce il dolore e la lezione che ne scaturiva. Una sorta di profezia che sapeva intuire la luce, l’oro, proprio quando tutto era più buio e più assurdo: «È portentoso quello che succede. / E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci sono doni. / Pepite d’oro per noi. / Se ci aiutiamo». In pochi giorni le sue parole hanno fatto il giro del web con un passaparola che diventava balsamo per molti. La poesia è diventata così la voce dell’interiorità, la voce di Ulisse che parla ad Ulisse, e in questo dialogo la possibilità di spalancare il cielo davanti a un muro: «A quella stretta di un palmo col palmo di qualcuno / a quel semplice atto che ci è interdetto ora /— noi torneremo con una comprensione dilatata. / Saremo qui, più attenti credo. Più delicata / la nostra mano starà dentro il fare della vita. / Adesso lo sappiamo quanto è triste / stare lontani un metro».

di Luigi Maria Epicoco