· Città del Vaticano ·

Per obbedienza

19 luglio 2021

Se suona il cellulare di un vescovo con il numero di un prete, si sa, si tratta quasi sempre di problemi. Se suona il cellulare di un prete con il numero del vescovo, si sa, si tratta quasi sempre di spostamenti. E in questo periodo non è raro che suonino i cellulari di preti con il numero del vescovo.

Cambiare incarico è un momento delicato per una parrocchia e per un prete. La parola in ecclesialese che di solito viene rispolverata per l’occasione è “obbedienza”. Eh già, ma è un attimo fraintenderla. Noi preti lo sappiamo che da qualche parte ce la devi infilare l’obbedienza per fare una cosa. Confesso tutta la malizia del mio cuore: io credo di conoscere “preti furbi”, che più o meno riescono a ottenere gli incarichi a cui ambiscono. Ma francamente non ho mai ricevuto un messaggio su WathsApp con scritto: «Non ne potevo più di stare in oratorio! Mi sono laureato, ho spedito la tesi al vescovo, gli ho regalato 13 volumi incomprensibili di teologia dicendogli che li ho letti; finalmente l’ha capita e vado a studiare a Roma». Di solito ti arriva: «Dopo anni bellissimi in oratorio e con dolore, lascerò la parrocchia per andare a studiare a Roma. Ad obbedire non si sbaglia mai. Prega per me».

Sono abbastanza convinto che una discreta fetta di cose fatte “per obbedienza”, in realtà il vescovo non se le sarebbe mai nemmeno sognate!

Intendiamoci: la maggior parte delle volte incontri preti pieni di fede e di umiltà che accettano di rispondere nella gioia alle esigenze della diocesi, facendosi magari carico di situazioni che chiederanno fatica. Ciascuno ha almeno una suora che prega per lui che gli dirà: «Se lo Spirito Santo ha pensato questo per te, vai con fiducia».

Io non mi intendo di cosa faccia tutto il giorno lo Spirito Santo: nel vangelo di Giovanni leggo che prende dal Figlio e lo dona alla Chiesa e che guida alla verità tutta intera. Non sono esperto di questi due lavori, ma mi sembrano già abbastanza onerosi perché lo Spirito debba anche occuparsi di fare il planning degli spostamenti dei preti di una diocesi. Mi piacerebbe pensarmi parte di una categoria che non fa mille storie e non fa mille mistificazioni. Se ti mandano a fare il parroco a Vatte la Pesca, non è il caso di scrivere sul bollettino parrocchiale una lettera di saluto che l’Addio monti di Manzoni in confronto è un numero di cabaret!

Secondo me non inizia qui l’obbedienza: qui si tratta di non fare troppo gli schizzinosi, riconoscere che c’è un vescovo che ha in mente il quadro e senza fare troppe storie rendersi disponibili. Dopo inizia l’obbedienza allo Spirito! Perché se arrivi in una parrocchia sentendoti talmente in credito per aver accettato di cambiare incarico, va a finire che, anche solo a livello affettivo, vuoi riscuotere ciò che pensi ti sia dovuto da tutti i poveri fedeli. E invece è lì che sei chiamato a iniziare a obbedire. Al vescovo, come colui che nella diocesi custodisce il deposito della fede in Gesù. E alla gente a cui sei inviato, che già ben prima del tuo arrivo sta portando frutti grazie alla parola del Signore. Obbedire ha un etimo molto interessante: ob — indica lo stare davanti. L’obbediente è colui che ascolta qualcuno standogli di fronte. Il Signore e i fratelli non ci mancheranno mai: che siano studenti o parrocchiani, che importa? L’obbedienza inizia dopo che con semplicità e un po’ di virilità hai accettato l’incarico. E figlia di un’obbedienza, fatta nella gioia e nella pace, sarà la meraviglia: in fondo in montagna, al mare o in città siamo inviati ad ascoltare in profondità ciò che lo Spirito sta già operando, prima, meglio e un po’ anche grazie a noi.

di Manuel Belli