· Città del Vaticano ·

Luoghi della fede
Soprattutto d’estate i pellegrini salgono i Sacri Monti per curare le ferite dell’anima

“Ospedali” d’alta quota

Il santuario di San Francesco di Paola
14 luglio 2021

I Sacri Monti e i santuari, come ospedali d’alta quota, da secoli cicatrizzano le piaghe della vita. I mesi estivi incoraggiano e stimolano i pellegrini o i semplici fedeli a portarsi lassù dove l’amore della Parola sana le ferite dell’anima. «San Francesco d’Assisi — spiega il frate cappuccino Eraldo Emma, del santuario Madonna del Sasso sopra Locarno, in Svizzera — a frate Leone che chiedeva accompagnamento spirituale sotto forma di consigli, scrisse queste parole: “E se a te è necessario, perché tu ne abbia altra consolazione, che la tua anima ritorni a me, e tu lo vuoi, vieni”».

Ed è proprio questo “vieni” suggerito da san Francesco, e nient’altro, la ragione che spinge i pellegrini a salire nel luogo di colui che edifica. E prosegue fra Eraldo: «Direi che qui troviamo il centro della nostra proposta spirituale che offriamo a coloro i quali giungono al santuario e liberamente bussano alla porta del nostro convento. Un luogo di incontro fraterno, dove il fedele viene accolto, ascoltato e amato per quello che è», anche perché «l’accompagnamento spirituale è una delle possibilità che il pellegrino o il fedele trova presso il nostro santuario, parallelamente al sacramento della confessione e dell’eucaristia. Il termine accompagnamento spirituale si addice di più alla nostra spiritualità francescana. Accompagniamo fratelli e sorelle sul cammino di fede cristiano e li accompagniamo da fratelli, padri e madri. Certamente l’anima del fedele per poter fare esperienza dell’amore di Dio va diretta verso il giusto fine e verso i giusti mezzi per raggiungere tale fine, che non può essere che la comunione con Dio. Un direttore di orchestra dirige i musicisti affinché si arrivi a un’armonia di suoni. Ecco perché, come francescani, preferiamo usare il termine accompagnatori, consiglieri di anime, che nella carità fraterna aiutano i viandanti a incontrare Gesù vivo e presente in mezzo a noi».

Di fatto si tratta di rivedere la propria storia personale. Occorre mettere un nuovo paio di occhiali, quelli che permettono di cogliere la realtà per fede. Precisa Emma: «Fare verità in sé stessi e aprirsi all’incontro con l’altro e con l’Altro è un processo che può durare a lungo e soprattutto non può essere portato avanti da solitari; occorre quella parola che l’uomo di oggi fatica a realizzare: la parola insieme. Normalmente i primi buoni frutti si vedono dopo un anno di cammino di accompagnamento. Si tratta di abbandonare la staticità del passato per scoprire un dinamismo di vita nuova nello Spirito qui e ora». Si tratta appunto di scavare, togliere la cenere per far risplendere la verità che sta aspettando soltanto di essere trovata: «Le proposte sono quelle di abbracciare un nuovo stile di vita, quello evangelico, di intraprendere un cammino cristiano di preghiera, di eucaristia, di riconciliazione, di Parola di Dio e di opere di carità. Tutto questo, unito agli incontri regolari di accompagnamento possono veramente compiere segni e miracoli, ancora oggi, nonostante la complessità della storia umana di questa generazione. Sono questi i tanti miracoli del quotidiano che Dio compie anche attraverso la presenza discreta e a volte nascosta di noi sacerdoti e religiosi nei santuari».

L’Italia e l’Europa sono disseminati e costellati di luoghi dello spirito, ma tuttavia bisogna preservarli dalle logiche da visita museale, in quanto in questi posti si testimoniano «i ricordi della misericordia del Signore nei nostri confronti», diceva Gregorio di Nissa. «La nostra è un’accoglienza religiosa, non turistica, altrimenti — sottolinea il rettore del Sacro Monte Calvario di Domodossola, in Piemonte, il padre rosminiano Michele Botto Steglia — i santuari si riducono a essere solo opere d’arte e niente più. Non vanno scambiati per musei. L’ospitalità, cosiddetta di passaggio, mira a ricaricare e rigenerare lo spirito, dopo un anno di lavoro ma soprattutto dopo il clima di pandemia. I pellegrini ci chiedono di essere supportati a interrompere la quotidianità, per riprendere fiducia e speranza. Dopodiché spesso con l’ospite si crea anche un legame che prosegue nei mesi e negli anni». E padre Michele aggiunge: «Il vantaggio nella nostra realtà e che qui è presente una comunità religiosa. Dobbiamo essere sulla porta in punta di piedi, perché è importante che quando qualcuno arriva trovi l’altro. Con chiunque passi dal Sacro Monte Calvario, per noi c’è la possibilità di instaurare un rapporto; c’è chi accoglie, conforta e aiuta nella dimensione spirituale, nella confessione; abbiamo sempre a disposizione un padre per la confessione, ma anche per un sorriso, un semplice saluto. Non necessariamente l’incontro deve essere legato a un sacramento, quello in caso viene dopo. Qui il pellegrino trova le tre forme di carità rosminiane, spirituale (l’incoraggiamento), materiale (invito anche a bere un caffè) e intellettuale (suggerire un libro adatto a chi si ha davanti)».

Ecco un’accoglienza senza preferenze. «Non bisogna incontrare le persone con dei preconcetti, è sufficiente l’apertura con la testimonianza caritatevole. Capita anche — prosegue il rettore — di accogliere fedeli di altre confessioni religiose come valdesi, calvinisti. Il senso dell’accoglienza è quello di far vedere il bello della vita. E magari intraprendere un cammino di santità».

Il dono dell’accoglienza si manifesta a seconda dei luoghi e delle persone che lo incarnano, ma tutti hanno in comune la medesima condivisione e lo stesso impegno per gli altri. «Sin dall’inizio questo luogo si è caratterizzato», specifica padre Domenico Crupi, dell’Ordine dei Minimi, del santuario di San Francesco di Paola, in Calabria, «per il suo apostolato di accoglienza verso tutti coloro che volevano incontrare san Francesco, uomini di ogni età, ceto sociale, afflitti da malattie fisiche e morali. Tutti vedevano in lui l’Uomo di Dio dedito alla contemplazione e all’azione guidato dalla charitas che diverrà non solo l’emblema del suo Ordine ma un vero e proprio programma di vita. “Pentitevi dei vostri peccati passati e correggetevi per il futuro, perché il Signore vi aspetta a braccia aperte”: questo scrive l’eremita paolano in una sua lettera dettando così la finalità dei luoghi da lui fondati».

Il santuario di Paola continua nell’oggi l’opera del fondatore attraverso uno stile semplice ma concreto di accoglienza ai tanti che tutti i giorni accorrono a visitare i sacri luoghi. «In particolare — conclude padre Domenico — questa accoglienza viene espressa nella celebrazione del sacramento della riconciliazione, sempre più richiesta attraverso colloqui ed esortazioni spirituali. Tante persone in difficoltà si rivolgono a noi padri minimi per un consiglio, una parola e un aiuto. Vogliono parlare, liberarsi delle loro afflizioni legate ai tanti problemi di oggi: famiglia, economia e disagi determinati da situazioni culturali e morali».

di Roberto Cutaia