· Città del Vaticano ·

Oltre 50 persone persero la vita nella città di Uvira nella Repubblica Democratica del Congo

Il dramma del Sud Kivu
a un anno dall’inondazione

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07 luglio 2021

I cittadini si sono riversati sulle strade urlando in preda al panico. Alcuni sono usciti nudi dalle loro case invase dall’acqua, cercando disperatamente una via d’uscita. Era la notte tra il 17 e il 18 aprile 2020 e diversi quartieri della città di Uvira erano completamente allagati. Uvira si trova nella provincia del Sud Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Burundi. Lo straripamento di due dei tre fiumi che l’attraversano, il Mulongwe e il Kavimvira, ha causato oltre 50 morti e gravi danni materiali. Case, scuole, negozi, sono stati distrutti dalla forza dirompente dell’acqua, che ha trascinato fango, pietre e tutto ciò che ha trovato sulla sua strada. Un evento che ha lasciato attoniti i cittadini, molti dei quali sono rimasti senza più nulla. Per saperne di più, a distanza di un anno dal drammatico evento, abbiamo parlato con Monde Mutambala Dieudonné, consigliere per le Secondarie della Coordinazione delle scuole cattoliche della Diocesi di Uvira.

Signor Dieudonné, quali sono state le cause di questa catastrofe?

Le cause sono di due tipi: quella scatenante, dovuta alle grandi piogge che hanno provocato lo straripamento delle acque dei fiumi, e quella strutturale, che parte da lontano, dovuta al disboscamento e alle costruzioni abusive, senza rispetto delle norme topografiche e urbanistiche. La gente ha costruito anche sul letto del fiume, sapendo che si esponeva a grossi rischi. Il risultato è stato che tanti cittadini si sono ritrovati senza più una casa, con tutto quello che essa conteneva, senza risparmi e alcuni senza più le persone care. Sono stati contati una cinquantina di corpi, ma molti non hanno trovato i loro familiari che si trovano ancora tra le macerie. Molte zone sono diventate inospitali per cui numerose persone sono state allontanate dai loro quartieri. C’è chi si trova presso famiglie di accoglienza, chi in case in affitto.

Quali interventi sono stati messi in atto?

C’è stata una mobilitazione generale per cercare di ridurre i danni. Molti giovani volontari hanno lavorato a fianco della Croce rossa per dissotterrare i cadaveri sepolti nella sabbia e nelle macerie; gli uomini della Monusco (la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Congo, ndr) hanno salvato molte persone dall’annegamento nelle acque dei fiumi; i dirigenti scolastici hanno ospitato le vittime nelle scuole, chiuse a causa della malattia pandemica da covid 19. Anche alcune parrocchie e comunità religiose hanno messo a disposizione edifici per l’accoglienza. La Chiesa cattolica è venuta in aiuto con forniture alimentari e di altro genere così come altre confessioni religiose, mentre alcune organizzazioni umanitarie hanno costruito docce e latrine e fornito l’approvvigionamento di acqua potabile. Sono intervenuti anche i deputati eletti di Uvira, con un contributo in denaro, e il ministero degli Affari sociali con forniture di vario genere.

Come stanno reagendo i cittadini?

Malgrado questi avvenimenti tragici, gli abitanti non si scoraggiano e provano a superarli. Alcune vittime hanno ripreso possesso dei loro terreni costruendo case di fortuna, malgrado la minaccia di nuove inondazioni. Il pericolo è sempre in agguato. Negli ultimi mesi c’è stata un’altra alluvione che ha provocato enormi danni agli edifici ma, fortunatamente, non perdite umane.

In che maniera questi eventi hanno riguardato la Chiesa?

Anche la diocesi di Uvira è stata interessata dalle alluvioni. Numerosi cristiani hanno perso la vita e le abitazioni. Le acque e la sabbia del fiume Mulongwe si sono riversate nella parrocchia di Nostra Signora delle Lacrime, nel presbiterio e nella casa delle sorelle saveriane, che ancora oggi non sono tornate nel loro alloggio. I fedeli hanno lavorato molto per rimuovere le montagne di sabbia dalla chiesa. La cattedrale di San Paolo e il convento delle suore Figlie di Maria hanno subito la stessa sorte con le acque e il fango del ruscello Nyarumanga. La Caritas diocesana, i movimenti di azione cattolica, le comunità religiose e sacerdotali, le parrocchie e i cristiani di buona volontà sono stati vicino alle vittime con un sostegno morale e materiale, e il vescovo della diocesi, monsignor Sébastien-Joseph Muyengo, è stato sempre presente per dare una parola di conforto.

La città di Uvira ha un futuro?

L’avvenire della città è una questione che preoccupa. I grandi fiumi costituiscono un pericolo permanente e il lago Tanganyka presenta un preoccupante rigonfiamento delle acque. Alcuni esperti dicono che se non si interviene, Uvira è destinata a scomparire. C’è da tenere presente che la fragilità di questo luogo è conosciuta da tempo e che, proprio per questa caratteristica strutturale, non era prevista la costruzione di una città. Tuttavia, la zona costituisce un importante centro di commercio grazie al porto di Kalundu, secondo porto nazionale dopo quello di Matadi, sull’oceano Atlantico, e questo ha provocato un consistente esodo di persone dalle campagne. Inoltre, le montagne che sovrastano la città, un tempo piene di alberi, sono state deforestate per rifornirsi di legna da ardere e per coltivare, cosa che favorisce frane di terra che si riversa nei fiumi. Sono stati fatti avvisi per indicare dove istallarsi ma, per mancanza di altri spazi, le persone li hanno ignorati, costruendo quelle che noi chiamiamo «case anarchiche», senza rispettare i 50 metri previsti di distanza dalla riva. Ora il territorio ha una grande densità demografica ma secondo studi avanzati non è adatto alle abitazioni.

Cosa avete imparato da questa drammatica esperienza?

Che dobbiamo evitare le costruzioni selvagge perché le conseguenze possono essere devastanti. Lo Stato deve far rispettare le norme topografiche e urbanistiche per garantire una convivenza pacifica fra l’uomo e la natura. Occorre realizzare piani urgenti contro le inondazioni, a cominciare dalla pulizia dei fiumi che attraversano la città e dalla costruzione di dighe, per ostacolare lo straripamento delle acque. Ciò che è avvenuto è un segnale forte. Il governo deve assumersi le sue responsabilità per proteggere la popolazione.

di Marina Piccone