· Città del Vaticano ·

Dal testo inedito di Papa Francesco nel libro della Lev

Venga presto la pace

 Venga presto la pace  QUO-144
28 giugno 2021

Dal 28 giugno è in libreria il volume di Papa Francesco Pace in terra. La fraternità è possibile edito dalla Lev all’interno della collana “Scambio dei doni”. Il libro raccoglie parole e discorsi del Pontefice sulla pace e la fratellanza. La prefazione è del Patriarca copto ortodosso Tawadros II. Pubblichiamo ampi stralci dal testo inedito di Papa Francesco che chiude il volume. 

Non si può accettare la guerra oggi


Oggi si sta pericolosamente rivalutando la guerra: «Facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione». Ma siamo consapevoli della sofferenza di tanti per la guerra? Siamo coscienti dei rischi per l’umanità? Cerchiamo in qualche modo di spegnere il fuoco delle guerre e di prevenirle? O siamo distratti e ripiegati sui nostri interessi? O appagati dal fatto che la guerra non ci tocchi da vicino?

Sono domande da porci. In modo particolare, dovrebbero inquietare i responsabili politici che risponderanno davanti a Dio e ai popoli del protrarsi delle guerre. Quando c’è una guerra, seppur non tocca il proprio Paese, non si può essere mai tranquilli. Nel mondo globale tutto si comunica e, in qualche modo, tutto ci riguarda.

Al Sacrario di Redipuglia in Italia, nel 2014, di fronte alle tombe dei caduti nella prima guerra mondiale, non si sentivano più le voci sicure delle propagande belliche che avevano accompagnato alla battaglia centinaia di migliaia di uomini. Si udiva il silenzio della morte, come in tanti cimiteri di guerra in tutto il mondo, dove riposano milioni di caduti, la cui vita è stata rubata alle famiglie e al futuro. A Redipuglia, mi è sembrato di vedere le lacrime dei caduti e delle loro famiglie. In quel clima mesto ho detto: «Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni».

Non possiamo convivere tranquillamente con le guerre in corso come fossero fatali. Sarebbe un ottundimento della coscienza! Purtroppo invece avviene, specie nei Paesi non toccati dai conflitti, ma solo da qualche conseguenza, come l’arrivo dei profughi. Questi sono testimoni della guerra, dolenti “ambasciatori” dell’inascoltata domanda di pace. Ci fanno toccare con mano quanto la guerra sia disumana. Ascoltiamo la loro dolorosa lezione di vita! Accogliere i rifugiati è anche un modo di limitare le sofferenze della guerra e di lavorare per la pace.

La guerra non è mai degli altri


La mole d’immagini e d’informazioni sui conflitti non risvegliano a sufficienza le coscienze, assonnate quasi appartenessero a un altro mondo. Scrive il rabbino Jonathan Sacks: «In un’epoca caratterizzata da un sovraccarico d’informazioni, quando così tante notizie ci arrivano in frammenti scollegati […] tutto ciò può portare a una sensazione d’impotenza, di ansia e paura ». Così ci si rassegna facilmente a fare niente per i Paesi in grave situazione. Nel 1966, San Paolo vi , di fronte alla fame in India, ebbe parole profetiche sulla corresponsabilità di tutti verso il dramma di quel popolo: «Il bisogno è grande. In India e altrove. Diremo a quanti ci ascoltano: il dovere è di tutti. È questo un fenomeno caratteristico del nostro tempo, nel quale i rapporti fra gli uomini hanno reso di conoscenza comune le vicende d’ogni parte dell’umanità. Nessuno oggi può dire: io non sapevo. E, in un certo senso, nessuno oggi può dire: io non potevo, io non dovevo. La carità tende a tutti la sua mano. Nessuno osi rispondere: io non volevo!».

Molti si chiedono: che fare di fronte alle guerre? alla radicata volontà di combattere? a interventi di Stati potenti? Tanti confessano l’impotenza o scivolano nell’indifferenza. Noi crediamo, invece, che la risposta sia un’altra: sempre si deve provare ad agire per la pace senza stancarsi! Anche se non si può agire direttamente sui conflitti, opinioni pubbliche vigilanti possono molto. Possono impegnare il proprio Paese; esercitare pressioni sulla comunità internazionale; chiedere che cessino le oblique connessioni, come il commercio delle armi; domandare una politica di pace. L’indifferenza è complice della guerra.

Il sangue sparso di una sola creatura è già troppo! Nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato dal grande imam di Al Azhar, Al Tayyb, e da me, si afferma: «Chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato tutta l’umanità». Non possiamo accettare la guerra: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male». Lo si vede nella storia dei popoli. Anche le mafie e la criminalità conducono oggi vere guerre, distruggendo la pace per i loro interessi. Non si può accettare la loro logica del male!

Rimetti la spada nel fodero!


Gesù, quando vengono ad arrestarlo nell’orto degli ulivi, non invoca il diritto all’autodifesa, ma dice a chi impugna la spada e crede di aiutarlo: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26, 52-53). La parola di Gesù, ancor oggi, risuona chiara. La vita e il bene non si difendono con la “spada”. È una parola rivolta a chi crede nella violenza, la promuove o la giustifica. Vorrei ricordare quanto scrive San Girolamo: «Chi dice di credere in Cristo, si comporti anch’egli come lui si è comportato. Cristo, il Figlio di Dio […] non venne per percuotere, ma per essere percosso; non diede schiaffi, ma li prese; non crocifisse, ma fu crocifisso, non uccise gli altri, ma lui stesso patì […]. Colui che viene percosso imita Cristo; colui che percuote l’anticristo».

Chi impugna la spada sperimenterà, a sua volta, la violenza. E i conflitti, una volta aperti, — lo vediamo ai nostri giorni — si trasmettono talvolta di generazione in generazione. «Basta!» — dice Gesù ai discepoli che gli mostrano le spade: «Signore ecco qui due spade». «Basta!»: risponde senza equivoci. Quel «basta!» addolorato e forte di Gesù supera i secoli e giunge fino a noi. È un comandamento che non possiamo eludere: basta con le spade, le armi, la violenza, la guerra!

In quel «basta!», c’è l’eco dell’antico comando: “non uccidere”. Questo comando è scritto nell’alleanza tra Dio e l’umanità, quella con Noè, quando Dio benedisse il patriarca con i figli e si vide un arcobaleno: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo e a ognuno del suo fratello» — disse (Gen 9, 7). In tutte le culture e religioni, è stato seminato un seme di pace che non fa disperare sulla volontà di pace. Quel seme può essere stato soffocato dall’odio; ma, nell’incontro, darà i suoi frutti. È consolante vedere questa realtà in tante religioni e culture, perché il seme della pace è stato seminato ovunque.

«Rimetti la spada nel fodero!». Come essere cristiani con la spada in pugno? Come estraniarci quando altri impugnano la spada? Come essere cristiani fabbricando “spade” con cui altri si uccideranno? Oggi purtroppo si realizzano armamenti micidiali e sofisticati. Dare ascolto all’appassionato grido del Signore vuol dire smettere di vendere armi, considerando solo il proprio interesse economico. Non esistono giustificazioni in proposito, fossero quelle dei posti di lavoro che si perderebbero con la fine del commercio delle armi. Per questo ho detto: «Penso all’ira di Dio, che si scatenerà sui responsabili di quei Paesi che parlano di pace e vendono le armi per fare queste guerre».

Le religioni tra pace e violenza


San Giovanni Paolo ii , nell’ottobre 1986, durante la guerra fredda, convocò ad Assisi, nonostante la storia di diffidenze e conflitti, i leader delle religioni mondiali per una invocazione di pace, affermando: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace». Dopo quello storico evento, negli anni successivi, lo “spirito di Assisi” ha continuato a manifestarsi, riunendo i rappresentanti delle religioni in vari incontri, ma anche nella vita quotidiana. Le religioni insieme hanno mostrato come la pace abbia bisogno di un fondamento spirituale. I responsabili religiosi si sono conosciuti e hanno meglio scoperto la loro funzione di educatori dei fedeli alla pace.

Nello “spirito di Assisi” si è formato un linguaggio comune tra credenti su alcuni problemi essenziali, mentre si è sviluppato un clima di amicizia, in luogo della diffidenza del passato. Ad Assisi, ricordando l’incontro del 1986, ho detto: «La differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri».

Il mondo è tanto cambiato dal 1986. Ma abbiamo bisogno, come ieri e più di ieri, della collaborazione e della preghiera delle religioni, anche per delegittimare la violenza in nome di Dio. Per questo, assieme al patriarca ecumenico Bartolomeo i e a significativi leader di varie religioni, ho firmato ad Assisi nel 2016 un appello: «Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo».

Così si sono compiuti significativi percorsi di dialogo e cooperazione che hanno solidificato la pace in varie situazioni e tracciato una via di fraternità. In questo cammino risalta con forza il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad AbuDhabi nel 2019, in cui abbiamo affermato: «Le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato — in alcune fasi della storia — dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini». Abbiamo quindi rivolto un appello: «Chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione».

È una richiesta che si fonda sulla fede comune: Dio «non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro». Infatti «l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente».

Non accettare la guerra


Non possiamo accettare rassegnati la guerra come compagna quotidiana dell’umanità! Non possiamo accettare che tanti bambini crescano all’ombra dei conflitti. Dobbiamo dire basta alla guerra. Sia questa la bussola che indirizza le coscienze, che guida le politiche dei Paesi e della comunità internazionale. La responsabilità di porre fine alle guerre riguarda tutti i popoli e tutti i governi. La pace è il bene comune dell’umanità. Siamo interdipendenti. Il male della guerra distrugge un popolo ma raggiunge anche gli altri Paesi; inquina le relazioni internazionali; distrugge l’ambiente.

I conflitti si prevengono con la ricerca quotidiana della fraternità, di cui tutti possono essere artefici. Questo è il “sogno” impegnativo, proposto nella Fratelli tutti: «Un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana». La pace è pratica della fraternità: integrazione di soggetti comunitari, locali, regionali, nazionali, continentali in un’architettura di fraterna convivenza. La pace comincia non odiando, non escludendo, non discriminando, non lasciando soli. Anche così si prevengono i conflitti. L’isolamento non è buono per la donna e l’uomo, ma neppure per una nazione. Nemmeno per una comunità religiosa, chiusa nel suo “splendido isolamento”. Praticando la fraternità, passo dopo passo, prepariamo strade di pace. Ciascuno può molto. Affermava il beato Pino Puglisi, martire della mafia in Sicilia: «Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto».

Rimettere la spada nel fodero è aiutare chi combatte a imboccare la via del dialogo con pazienza, convinti che la vera “vittoria” sta nel dialogo. Il mondo ha bisogno di laboriosità artigianale nel costruire la pace: artigiani pazienti che ritessono la comunicazione tra le parti in conflitto, che rischiano se stessi per unire chi si combatte, costruttori di ponti che non cedono agli odi. San Giovanni xxiii ha insegnato una via di pace molto valida: cercare quel che unisce e mettere da parte quel che divide. In questo modo s’illumina quella comune umanità che rende «fratelli tutti».

Tutti artigiani di pace!


Sogno che i cristiani siano ovunque artigiani di pace! Che, in quest’opera, lavorino con tutti i credenti! Anche chi si considera irrilevante, può fare parecchio. Tutti dobbiamo studiarci di operare per la pace. Mai dobbiamo credere che l’opera della pace sia troppo grande per noi. Chi serve la causa della pace è amato da Dio e perdonato dei suoi peccati. Non bisogna rinunciare alla ricerca della pace, perché la storia, per grazia di Dio, è piena di sorprese.

Non c’è contrasto tra il bene comune di un singolo popolo e quello della comunità delle nazioni, che vanno perseguiti armonicamente. È evidente nelle questioni ecologiche, quando il prevalere dell’interesse di parte danneggia l’ambiente, che è di tutti. La pace è un bene comune universale. Un sacerdote italiano, Luigi Sturzo, studioso e attore socio-politico del Novecento, s’interrogava sulla possibilità di eliminare per sempre la guerra. Concludeva: «Bisogna aver fede che dal caos di oggi dovrà sortire un nuovo ordine internazionale, dal quale la guerra, come mezzo giuridico di tutela del diritto, dovrà essere abolita, così come legalmente furono abolite la poligamia, la schiavitù, la servitù della gleba e la vendetta di famiglia ».

Non bisogna rinunciare al sogno di un mondo senza guerre. Possano tutti i popoli della terra godere della gioia della pace! In ogni caso e in qualunque scenario, la Chiesa non rinuncerà a sperare e operare per un mondo senza guerra. Infatti la pace è lo stesso Signore Gesù, che ha abbattuto i muri e spento l’inimicizia. Ha riunito genti estranee in un unico popolo che gli renda lode. Gesù, risorto, appare ai suoi discepoli e dice loro: «Pace a voi!» (Gv 20, 19). La liturgia eucaristica è sorgente inesauribile di pace e fa sperare nella vittoria della pace anche in mezzo ai dolori della guerra.

Sappiamo che la preghiera è alla radice della pace. La preghiera è protesta contro la guerra davanti a Dio. Non cessiamo mai di domandare al Signore, con fede e insistenza, la fine dei conflitti. La nostra preghiera dà voce ai lamenti dei popoli per ogni conflitto e ne chiede la fine. Venga presto la pace!