· Città del Vaticano ·

È l’Africa
l’epicentro della carestia

Children, who fled the violence in Ethiopia's, Tigray region, wait in line for breakfast organized ...
25 giugno 2021

La crisi globale causata dalla pandemia di covid-19 ha reso milioni di persone più vulnerabili. L’insicurezza alimentare è una delle sfide che stiamo già affrontando. Un problema certamente non nuovo per milioni di persone in tutto il mondo. Circa il 9% della popolazione mondiale va a letto affamato ogni notte. Ogni mattina in Africa, il continente della speranza e della resilienza, una donna dovrà camminare cinque chilometri per raggiungere e curare i suoi campi di mais o di patate e pregherà, affinché scenda la pioggia in ritardo di settimane o mesi, per poter sfamare la sua famiglia e garantire educazione e salute ai propri figli. È il caso di una donna in un villaggio in Zambia, ma potrebbe essere quello di un giovane pastore ai piedi del Kilimangiaro, che ogni mattina deve far pascolare il bestiame, prima di correre a scuola; o di un nomade nel Ciad saheliano che cerca disperatamente l’acqua nel deserto; o di un coltivatore di caffè etiope che vede il suo raccolto ridotto a causa dell’infestazione delle bacche di caffè.

Questo è il profilo di un contadino africano medio con un piccolo pezzo di terra, il quale è totalmente dipendente dalla natura e dal clima. Anche se per il 65% degli africani l’agricoltura è la fonte primaria di sostentamento, tuttavia il continente presenta ancora i livelli di produttività agricola più bassi al mondo. Malgrado le sue immense risorse naturali, l’Africa vive la maggiore insicurezza alimentare a livello globale: con circa il 15% della popolazione mondiale ospita un terzo degli affamati del pianeta. Le cause strutturali, purtroppo ricorrenti, dell’insicurezza alimentare in Africa sono riconducibili all’instabilità politica, ai conflitti, al cambiamento climatico, dunque alla desertificazione, all’insufficienza di misure per la valorizzazione delle terre arabili e alla crescita demografica. I dati delle organizzazioni internazionali riportano che il 25% della popolazione africana non ha accesso ad una alimentazione capace di rispondere ai bisogni nutrizionali di base e che, in particolare, circa il 30% dei bambini al di sotto dei cinque anni soffre di malnutrizione cronica. La concentrazione delle persone malnutrite si registra specificamente in due aree africane, il Sahel e il Grande Corno d’Africa. Inoltre le migrazioni interne in tali regioni sono fattori aggravanti della fame.

La carestia è già alle porte di Etiopia, Madagascar e Sud Sudan e potrebbe diventare una cruda realtà, in assenza di finanziamenti urgenti e dell’accesso umanitario. L’allarme è stato lanciato dal Programma alimentare mondiale (Pam) lo scorso 21 giugno. Si teme in particolare per la regione etiopica del Tigray, che dallo scorso autunno sta attraversando una drammatica emergenza umanitaria, per di più inasprita dalla carestia. Anche in Nigeria e in Burkina Faso sono presenti in alcune aree condizioni ambientali prossime alla carestia, così come la Somalia è stata colpita da una grave siccità, che ha lasciato migliaia di persone senza mezzi di sussistenza.

Ci sono poi le crisi dimenticate a livello mediatico. È il caso della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e del Madagascar. La crisi umanitaria degli sfollati della Rdc, circa 6mila persone soprattutto nelle regioni orientali, è la più critica e allo stesso tempo la più ignorata. È quanto emerge dal recente rapporto del Norwegian Refugee Council (Nrc) sulle “neglected crises”. Per il Paese è stato raccolto solo un terzo degli aiuti internazionali richiesti dall’Onu. Dal documento emerge che, per il sesto anno consecutivo, la crisi peggiore rispetto agli indicatori si trova in ben otto Paesi africani: Rdc, in testa, poi Camerun, Burundi, Nigeria, Burkina Faso, Etiopia, Repubblica centrafricana e Mali. Inoltre, per la prima volta dall’inizio di questo secolo, nel 2020 è stato finanziato il 50% in meno delle operazioni di aiuto richieste dagli appelli umanitari. A non fare notizia è anche il Madagascar, la quarta isola più grande al mondo, però invisibile ai più. Il Paese non è afflitto da guerra o conflitto, ma da una siccità legata al cambiamento climatico che minaccia intere comunità nel sud. Il livello di malnutrizione acuta globale (Gam) nei bambini sotto i cinque anni è quasi raddoppiato negli ultimi quattro mesi, sicché locuste e tuberi sono diventati una fonte disperata di sopravvivenza per molti.

Crisi simili si verificano anche in Zimbabwe e Angola. All’inizio del 2021, il Pam aveva previsto che almeno 7,7 milioni di persone avrebbero avuto bisogno di aiuti alimentari nella prima metà dell’anno nello Zimbabwe. Anche la vicina Angola sta lottando con la sua peggiore siccità degli ultimi quarant’anni. La fame è imminente, avverte l’agenzia dell’Onu. Fino al 40% dei raccolti è andato perso e il bestiame è a rischio. La crescita dell’insicurezza alimentare sta dando luogo a ondate migratorie senza precedenti nelle aree più colpite. Intere famiglie si spostano verso altre province e oltre la frontiera con la Namibia, alle prese a sua volta con alti livelli di siccità. Il rischio è di un effetto domino attraverso i confini.

Il prezzo dell’inerzia di fronte a questi crescenti bisogni alimentari sarà, inevitabilmente, misurato in termini di vite perse. Non basta, tuttavia, snocciolare numeri dietro ai quali si celano persone. «Per sconfiggere la fame bisogna invertire la rotta» investendo «in un sistema alimentare globale capace di resistere alle crisi future» ha rimarcato Papa Francesco in occasione dell’apertura a Roma dei lavori della 42.ma sessione della Conferenza della Fao (14-18 giugno), rivolgendo lo sguardo in particolare alla ricostruzione post-pandemia. Occorre, ha specificato, promuovere «un’agricoltura sostenibile e diversificata» che tenga conto «del prezioso ruolo dell’agricoltura familiare e quella delle comunità rurali». L’agricoltura, settore chiave per il continente africano, è stata invece a lungo trascurata. Quello che manca è una visione di lungo periodo, che metta al centro di politiche durevoli la sicurezza alimentare per tutti. Quello che serve sono politiche di trasformazione strategica coerenti, purché beneficino di investimenti adeguati.

di Alicia Lopes Araújo