· Città del Vaticano ·

La traduzione italiana del libro «Pazienza con Dio» del teologo e filosofo ceco Tomàš Halík

In cerca di Zaccheo

 In cerca di Zaccheo   QUO-139
22 giugno 2021

Ci sono icone bibliche particolarmente eloquenti in alcuni tornanti della storia, sia essa comunitaria o personale. Per il teologo e filosofo ceco Tomàš Halík, l’icona del nostro tempo è quella dell’episodio di Zaccheo, narrata dall’evangelista Luca (19, 1-10): è, infatti, nel pubblicano piccolo di statura, che scruta Gesù da lontano, tra le fronde di un albero (sicomoro o fico che sia), che Halík ritrova molte delle caratteristiche degli uomini e delle donne di oggi, spesso in ricerca di Dio, sebbene non aderenti a nessuna chiesa in modo organico e convinto, ma nemmeno indifferenti al mistero divino. È questa la grande immagine su cui si regge l’edificio fecondo e stimolante di Pazienza con Dio, un volume che l’autore ceco scrisse nel 2007, ma che «Vita e Pensiero» ha tradotto solo nel 2020 (operazione meritoria, per la preziosità del libro reso disponibile al pubblico italiano).

Dunque, è nello stile con cui Gesù si fa vicino a Zaccheo, chiamandolo per nome, entrando nella sua casa e ponendosi accanto alla sua vita, fino all’annuncio della salvezza, che è possibile ritrovare il giusto modo per mettersi in primo luogo in ascolto dei tanti Zaccheo che abitano le nostre città, a partire da una consapevolezza: avvicinarsi a Zaccheo implica smobilitare molte convinzioni radicate, molte strutture ereditate dal passato e ora ingabbianti, molte difese che imprigionano: «Potrà parlare con Zaccheo solo colui che non si senta estraneo e distante dall’uomo che si nasconde tra i rami di fico, colui che non si senta superiore o indifferente nei suoi confronti: colui che non sia lontano da ciò che passa per la sua mente e per il suo cuore». Ecco, e qui il cuore del discorso: stare vicino a Zaccheo richiede anche il sentire — per grazia, per formazione, per umanità, per onestà, per coraggio — il travaglio, la fatica, il dubbio che Zaccheo vive nell’osservare da lontano, con curiosità e forse timore; ma significa sentire pure che il chiaroscuro è il colore di Dio, soprattutto a partire dalla modernità, poiché il mistero di Dio non è mai esaurito e pertanto bisogna temere ogni tentativo, razionale o emotivo, di circoscriverlo: Egli è l’ineffabile, colui che sempre invita l’uomo al superamento. Ne nasce una «teologia della liberazione interiore» che è «liberazione dalle certezze nella sfera religiosa, sia che si tratti delle certezze dell’ateismo, che non si mette mai in discussione, sia che si tratti delle certezze delle fede religiosa, che in modo analogo si è cristallizzata in superficie».

Si radica qui un’altra convinzione del teologo, secondo cui la domanda è ciò che restituisce vita e forza alla fede, divenendone l’essenza stessa: «La verità avviene nel dialogo. Le risposte rischiano sempre di porre fine al processo della nostra ricerca, come se l’argomento della conversazione fosse un problema — e come se fosse già stato risolto. Ma una nuova domanda può riportare la luce nelle inesauribili profondità del mistero». Dunque il viaggio delle fede non è tanto un viaggio a Zaccheo, al fine di convertirlo o di reclutarlo, ma quanto un viaggio con Zaccheo alla ricerca del mistero: «il nostro viaggio in cerca di Zaccheo è spesso un viaggio che parte dai problemi per arrivare al mistero, dalle risposte apparentemente definitive per tornare alle domande».

Il cammino della fede è, quindi, un cammino di rinuncia, di smobilitazione, di resa per far emergere sempre più il sorprendente mistero di Dio, secondo la lezione di diversi maestri a cui Halík guarda: Teresina di Lisieux, Nietzsche, Bonhoeffer, Meister Eckhart e tutta le teologia mistica, soprattutto quella di matrice negativa. Sono le strade, anche paradossali, di queste grandi figure quelle da percorrere per avere il coraggio di superare l’immagine di un «Dio terribile» e vendicatore, di un «Dio banale» o un «Dio magico, delle facili consolazioni e del superficiale ottimismo» — fotocopie dell’uomo che non dicono nulla ai tanti Zaccheo di oggi, e giustamente — per arrivare a intuire, a intravedere qualche immagine del Dio vivo di Gesù di Nazareth, che chiama e salva Zaccheo prima che il pubblicano faccia ammenda ed esprima pentimento, poiché l’aspetto morale è sempre secondario all’annuncio dell’amore e della libertà. Ma proprio sulla libertà si innesta una delle fatiche più grandi dell’uomo di fede, che è quella di «riconoscere a Dio la libertà di essere un vero Dio, spesso radicalmente diverso dal “Dio dei nostri sogni”».

Sempre la riflessione sulla libertà genera però nell’autore un severo ammonimento: non si deve approfittare dei momenti di debolezza umana e psicologica per “convertire”, poiché in quel caso si strumentalizzano sia Dio che il dolore della persona o, peggio ancora, non si devono creare situazioni in cui si mettono in crisi gli altri al solo fine di convincerli della nostra idea di Dio, quasi offrendo una «ricetta per la salvezza» che ancora una volta costringe il mistero di Dio dentro pretese ed esigenze fin troppo umane.

Sulla riflessione circa la libertà di Dio si struttura uno dei nuclei del pensiero di Halík, poi ripreso in altri suoi testi: è il concetto della resurrectio continua, ossia il mistero della continua resurrezione che Cristo, nello Spirito, opera ogni giorno, ogni ora, per rinnovare ed aprire, liberare e generare, proprio come la notte di Pasqua, al di là di quello che gli uomini possono anche solo immaginare: «credere significa aprire il cuore e accorgersi che proprio ora viene rimossa la pietra tombale, che ora, proprio ora, sulla fredda oscurità della tomba, trionfano i raggi del mattino della Pasqua».

Si capisce pertanto quale deve esser l’atteggiamento del cristiano: è la pazienza, una pazienza perseverante, fiduciosa, anche faticosa, nei confronti di Dio, specchio, per certi versi, della pazienza con cui Egli ci attende e ci cammina a fianco: «la pazienza che dimostriamo di fronte agli oscuri enigmi che la vita ci presenta di continuo, quando resistiamo alla tentazione di disertare prendendo il sentiero delle risposte più semplici, è sempre la nostra pazienza con Dio, un Dio che è “a nostra portata di mano”. Ma cos’altro è la fede se non questo nostro atteggiamento di apertura nei confronti di un Dio che è nascosto?».

Libertà, mistero, penombra, pazienza, speranza: sono queste alcune delle grandi parole che Halík associa a Zaccheo, parole di cui fare tesoro, con coraggio, parole che fanno compagnia nei giorni che ci conducono proprio alla resurrectio prima.

di Sergio Di Benedetto