· Città del Vaticano ·

Nel libro di Gianni Sofri su Arsenio Frugoni, studioso di fenomeni religiosi

Il mistero
dell’anno mancante

 Il mistero  dell’anno mancante  QUO-135
17 giugno 2021

L’esistenza di Arsenio Frugoni, celebre studioso dei fenomeni religiosi del medio evo latino, s’interruppe tragicamente il 31 marzo 1970, quando perse la vita, assieme al figlio Giovanni, in un terribile incidente automobilistico presso Bolgheri (LI): anche la signora Pia, che viaggiava con il marito e il figlio, rimase per alcuni mesi sospesa tra la vita e la morte. Studente e poi a sua volta docente alla Normale di Pisa, Frugoni era ordinario a Roma quando la morte interruppe il suo fecondo percorso di ricerca. Nella breve esistenza di quest’uomo straordinario si registra tuttavia un “anno mancante”, sul quale ora richiama l’attenzione, in un libro di grande interesse, Gianni Sofri (L’anno mancante. Arsenio Frugoni nel 1944-45, Bologna, il Mulino, 2021, pagine 141, euro 12).

Nella tarda primavera del 1944 Frugoni lasciò infatti la sua casa di Solto Collina, in provincia di Bergamo (dal luglio 1944, dopo il bombardamento che sconvolse Brescia, anch’egli aveva lasciato la città e si era ricongiunto alla famiglia), per giungere sul lago di Garda, nel cuore di quella che era allora la Repubblica Sociale Italiana, dove si richiedevano interpreti: centoventicinque chilometri in bicicletta, fino a Gargnano, dove rimase più o meno stabilmente — come poteva faceva delle scappate a casa — per circa un anno. Un tempo rimasto nell’ombra, sul quale sorgono non pochi interrogativi.

A Gargnano un gruppo di ufficiali tedeschi curavano — e gestivano — il rapporto con il Duce e il suo entourage; al loro comando era il tenente colonnello Hans Jandl (il sorvegliante, in definitiva, di Mussolini), che scelse Frugoni come suo insegnante d’italiano e interprete. A quanto è dato di capire, la fiducia riposta da Jandl nei confronti di Frugoni — che forse aveva in precedenza conosciuto a Vienna — finì per suscitare interrogativi e commenti non sempre benevoli tra gli ufficiali sottoposti (è il caso, ad esempio, del sottotenente Römheld); tuttavia, vi fu anche chi, come il capitano Otto Joos, passò dallo scetticismo iniziale a una stima venata di simpatia verso questo italiano colto, fine, che tuttavia non faceva mistero di non essere fascista, indicando nel cattolicesimo la sua matrice di pensiero.

Cosa abbia fatto Frugoni in quei mesi a Gargnano, oltre insegnare l’italiano a ufficiali tedeschi ed essere occasionalmente utilizzato come interprete, non solo non è possibile dirlo con assoluta certezza, ma neppure con alto grado di probabilità, stante il fatto che su quell’anno lo studioso mantenne sempre un assoluto riserbo e le poche testimonianze superstiti non bastano a dissipare le nubi che rendono opaco l’orizzonte. La ricerca di Sofri è costretta quindi a inseguire spie e tracce a volte appena percettibili, ma egli — sostenuto anche dal commosso e grato ricordo del protagonista, che fu suo professore alla Normale di Pisa — vi attende con acribia e solerzia straordinarie, tanto da arrivare in qualche caso a raccogliere frutti insperati, come quando individua (non ci son dubbi che egli abbia colto nel segno!) nel “normalista dai capelli rossi” il quale a Gargnano rappresentò per Frugoni un serio pericolo, quel Silvio Furlani che nel dopoguerra avrebbe acquisito un crescente prestigio, fino a rivestire un ruolo importante nella Biblioteca della Camera dei Deputati e “nel mondo politico-culturale della Prima Repubblica”.

Dalla lettura del libro emergono alcuni dati: in quei mesi Frugoni, che poteva godere di qualche libertà di movimento, non nascose mai — cosa di cui tedeschi erano a conoscenza — la propria distanza dal fascismo; d’altra parte, i partigiani non lo molestarono in nessun modo, né durante la guerra né dopo. Certi sono anche i rapporti che Frugoni intrattenne in quello stesso periodo con figure di primo piano del mondo cattolico bresciano, tutte antifasciste e afferenti alla sfera dell’Oratorio della Pace: è del resto poco credibile che in quei mesi egli si limitasse a insegnare e tradurre. A tale proposito, da parte mia terrei in considerazione le parole che Piero Chiappa, un parente diretto di Arsenio Frugoni, disse un giorno a Chiara, figlia di Arsenio e celebre storica anch’ella: «Forse padre Olcese mandò il babbo a Gargnano». Sarei perciò portato a sottoscrivere l’ipotesi — adombrata da Sofri — che Frugoni, in raccordo con l’Oratorio, abbia potuto — in qualche modo — fare da tramite tra le parti, agevolando così il destino di alcune persone.

Il libro lascia emergere anche il rapporto personale con Giovanni Battista Montini: fu infatti proprio quest’ultimo, allora assistente della Fuci, a recarsi a casa di Frugoni e a insistere perché la madre, poverissima, permettesse al figlio di partecipare al concorso per essere ammesso alla Scuola Normale di Pisa. Un legame perdurante nel tempo: dopo l’incidente nel quale lo storico perse la vita, monsignor Piero Zerbi, il quale era molto legato sia a Frugoni che alla sua famiglia (posso dirlo anche per esperienza diretta) ed era ben consapevole del rapporto intercorso tra i due, chiese infatti se il Papa avesse fatto sentire in qualche modo la sua vicinanza; appreso che ciò non era avvenuto, ritenne che a Paolo vi la notizia non fosse giunta e quindi suggerì a Salvatore Settis, genero di Frugoni, di scrivere al Pontefice facendogli recapitare la missiva attraverso il p. Ilarino da Milano, allora Predicatore Apostolico. Qualche giorno dopo, in effetti, Settis ricevette una lettera autografa di Paolo vi , piena di affetto nei riguardi dello storico prematuramente scomparso: «Una lettera molto bella, con qualche ricordo personale degli incontri fra lui e Frugoni a Brescia, parole di consolazione, infine la sua benedizione, a Pia, a Chiara, all’intera famiglia».

Negli anni del suo magistero pisano, Frugoni avrebbe finito per «abbandonare il cattolicesimo militante degli anni giovanili per una religiosità più inquieta, intima e personale», ma durante la guerra quella militanza era piena e credo abbia avuto il suo peso nella decisione — certo rischiosa — di recarsi a Gargnano. Anche se non può dissipare tutte le ombre, il libro di Sofri contribuisce comunque a diradare le tenebre: a lui il nostro grazie, dunque, dal profondo del cuore.

di Felice Accrocca