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Un dialogo per l’educazione nella libertà

Il crocifisso
nelle aule scolastiche

 Il crocifisso nelle aule scolastiche Il crocifisso  nelle aule scolastiche  QUO-135
17 giugno 2021

Il prossimo 6 luglio le Sezioni unite della Corte di Cassazione si pronunceranno sulla questione della esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche delle scuole pubbliche italiane. L’argomento è affrontato dal gesuita Federico Lombardi in un ampio articolo pubblicato sul numero in uscita de «La Civiltà Cattolica». Ne anticipiamo alcuni stralci tratti dalle riflessioni introduttive e dalle conclusioni.

Occorre dire subito che la questione — che muove da un caso particolare — non va posta in termini generali di “sì o no al crocifisso”, quanto piuttosto di delicato bilanciamento fra i diversi aspetti della libertà religiosa.

La questione del crocifisso è stata oggetto di dibattiti e riflessioni già da molti anni (...). Evidentemente ciò è collegato al profondo cambiamento culturale in atto, alla diminuzione della diffusione — in passato assai prevalente — della fede cristiana nella società italiana, all’accresciuto pluralismo delle posizioni religiose, filosofiche, ideologiche, e all’adeguamento di comportamenti e normative alla nuova situazione e alla maggiore sensibilità sul tema dei diritti umani. Bisogna essere consapevoli che non solo in Italia, ma in tutta Europa, e si può dire in tutto il mondo, il tema dell’esposizione dei simboli religiosi — non solo cristiani, ma ovviamente anche delle altre religioni — è divenuto di grande attualità negli anni recenti, sia per quanto riguarda quelli presenti negli edifici pubblici, sia per quanto riguarda quelli personali visibili e indossati in spazi pubblici o di lavoro. Corti di ogni livello, anche internazionali o sovranazionali, se ne stanno occupando.

 

(...)È opportuno ricordare brevemente [anche] le posizioni degli ultimi Papi sull’atteggiamento con cui porsi oggi da parte cattolica nei confronti di questi importanti dibattiti culturali, sociali, giuridici, politici, con il loro versante educativo.

Anzitutto ricordiamo che Giovanni Paolo ii , nell’enciclica Redemptoris missio, affermava: «La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e si ferma davanti al sacrario della coscienza» (n. 39). In questo spirito, vediamo nell’ostensione del crocifisso nelle aule una proposta, non un’imposizione. Ma ci pare da evocare in particolare il contributo profondo e ricco dato da Joseph Ratzinger/Benedetto xvi al tema del dialogo tra fede e ragione, Chiesa e società e Stato, nella consapevolezza della difficoltà delle sfide del tempo e nella convinzione della necessità urgente di una collaborazione per affrontarle adeguatamente. Egli è del tutto consapevole che le leggi civili saranno sempre imperfette e relative: ciò non deve però ingenerare sottovalutazione della loro importanza, ma al contrario impegno instancabile e costruttivo per la loro continua correzione in meglio. Nel suo famoso discorso nella Westminster Hall di Londra, il 17 settembre 2010, Benedetto xvi sottolineò che il rapporto tra fede e ragione, Stato e Chiesa, legge e religione, tra credenti e non credenti, può e deve divenire sempre più fruttuoso. Vi è «un ruolo correttivo della religione nei confronti della ragione» che può sostenere la ragione nella ricerca dei necessari princìpi morali; e, viceversa, vi è «un ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione» che la libera dai fanatismi, dai settarismi e da ogni altra distorsione. «È un processo che funziona nel doppio senso […]. Il mondo della ragione e il mondo della fede, il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà».

Alla luce di queste parole, Marta Cartabia osserva: «Il tempo attuale offre un contesto favorevole per prendere atto che l’idea di laicità come pura “neutralità” dello Stato rispetto al fenomeno religioso è un falso mito che porta di fatto ad atteggiamenti odiosi nei confronti della religione. Il tempo attuale è, però, altrettanto favorevole ad una presa di coscienza che dalla legge civile non si può pretendere tutto e tanto meno la salvezza. Con il potere politico il cristiano è chiamato a collaborare, in una prospettiva di inesauribile correzione, evitando atteggiamenti di diffidenza e di rigida ostilità» («La laicità positiva in J. Ratzinger/Benedetto xvi», in: Atti del Simposio organizzato dalla Fondazione Ratzinger e dalla Lumsa nel 2018: P. Azzaro - M. A. Glendon [edd.], Fundamental Rights and Conflicts among Rights, Steubenville, Franciscan University Press, 2020).

In questo spirito, tentiamo di proporre alcune considerazioni conclusive. Ricordiamo anzitutto che non stiamo trattando dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche di un Paese di tradizione maggioritaria islamica, né di un Paese dove l’affermazione della laicité sia strettamente collegata alla storia dell’identità nazionale moderna come la Francia. Trattiamo della sua esposizione in un Paese di profonda e radicata tradizione cristiana cattolica come l’Italia e della partecipazione comune alla sfida, oggi veramente decisiva e difficilissima, di trasmettere, con l’educazione, princìpi morali, valori di riferimento, atteggiamenti, contenuti culturali preziosi per la formazione delle nuove generazioni che vivono e crescono in questo Paese. Oggi i giovani fin dalla più tenera età sono esposti agli influssi potentissimi connessi alla trasformazione antropologica del mondo digitale. In questo contesto, che ha aspetti avvincenti ma anche drammatici, c’è bisogno della partecipazione di tutti, compresi tutti coloro che si riconoscono nella tradizione cristiana.

È bene capire che il simbolo esposto del crocifisso rappresenta — seppur “passivamente”, “relativizzato” e molto discreto! — la presenza e la partecipazione solidale e corresponsabile della tradizione cristiana e dei cristiani alla sfida storica dell’educazione delle nuove generazioni. Che cosa proponiamo loro, quando riescono a staccare gli occhi dai loro cellulari? Solo un muro bianco?

Trent’anni fa Natalia Ginzburg, che non apparteneva al mondo cattolico, scriveva parole che meritano tuttora attenzione: «Il crocifisso non genera alcuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. […] Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse smettere di dire così? […]. Il crocifisso è il segno del dolore umano. […] La croce, che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva quella del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. […] A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi di scuola» (N. Ginzburg, «Quella croce rappresenta tutti», in Unità, 22 marzo 1988).

La Ginzburg ricorda che Cristo ha insegnato per primo che gli uomini sono «fratelli tutti». È esattamente il titolo dell’ultima grande enciclica di Papa Francesco, di apertura assolutamente universale, al di là di ogni divisione e discriminazione, per qualsiasi motivo, a cominciare da una malintesa superiorità dovuta all’identità religiosa: «L’amore ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8). Questo bisogno di andare oltre i propri limiti vale anche per le varie regioni e i vari Paesi. Di fatto, il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri» (Fratelli tutti, nn. 95-96).

Quando molti credenti in Cristo e le autorità della Chiesa che ne interpretano la fede, insieme a molte altre persone di diverse fedi e convinzioni, propongono che il crocifisso rimanga esposto nelle aule scolastiche (o in altri luoghi pubblici o sulle loro stesse persone), non mirano oggi in alcun modo a un’imposizione contraria alla libertà di qualcuno, ma all’offerta — attraverso questo simbolo unico — di quanto di più profondo e prezioso possono dare per la costruzione insieme agli altri di una società fraterna e per l’educazione dei giovani a essa.

di Federico Lombardi