· Città del Vaticano ·

Don Piergiorgio e la casa d’accoglienza per ex detenuti a Cordenons

Un’oasi per tornare
a essere liberi

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16 giugno 2021

Se il carcere ha cessato di essere un luogo di emarginazione per diventare una realtà sociale e se si va verso un aumento delle misure alternative alla detenzione, molto si deve al volontariato. Nel tempo è divenuto un punto di riferimento per tanti ospiti che hanno compiuto un radicale cambiamento del pensare e dell’agire. Questo grazie al ruolo innovativo che ha svolto, e continua a svolgere, in una concezione della pena non limitata alla detenzione. Ne sono convinti i volontari della casa d’accoglienza «Oasi 2» a Cordenons (Pordenone) che ospita adulti in situazioni di difficoltà, con un’attenzione speciale nei confronti degli ex detenuti. L’avventura del gruppo muove i primi passi nel 1991 con l’associazione «Carcere e Comunità» grazie all’allora cappellano della Casa circondariale di Pordenone, don Luigi Tesolin. Oggi, a presiedere e guidare la struttura c’è il suo successore, don Piergiorgio Rigolo. «Non un servizio per i soci», si legge nello statuto, «ma esclusivamente per i reclusi, così da rispondere alle loro richieste per quanto ci è possibile». Le finalità? «Coadiuvare le preposte attività istituzionali nell’attuazione del trattamento rieducativo dei detenuti e tendere anche al reinserimento sociale degli stessi».

La casa d’accoglienza è nata in un momento nel quale la Chiesa diocesana si chiedeva come lasciare segni importanti di solidarietà, fraternità, giustizia e impegno. E così nel 2014 «è venuta l’idea di aprire questa struttura per accogliere persone che noi conoscevamo poiché le incontravamo abitualmente in carcere o nel gruppo degli alcolisti anonimi», spiega don Rigolo, chiarendo i motivi della scelta: «Ci siamo resi conto che non potevamo accontentarci di qualche buon gesto o di una buona parola, ma era necessaria una condivisione, un impegno al di là di ogni calcolo, con una fiduciosa speranza anche nell’attività e che destasse nella diocesi intera un’attenzione particolare a persone che vengono guardate con diffidenza e rimangono sconosciute ai più».

I volontari organizzano ogni settimana incontri culturali con esperti all’interno dell’istituto di pena, si adoperano per la donazione di beni di prima necessità, denaro, cancelleria, si preoccupano di chiamare i parenti e i legali. E, a proposito dei loro cari, è nata recentemente, quale attività complementare, la «Comunità multifamiliare» e ogni mese i detenuti e i loro familiari trovano un’occasione di ascolto e aiuto reciproco affinché non si sentano soli ad affrontare un momento così delicato della vita. Poi ci sono gli eventi dell’anno più importanti: la festa della mamma (viene donato un fiore a ciascuno con un messaggio di speranza), la messa in suffragio per i detenuti e i soci defunti, il 2 novembre, e la Giornata dell’educazione alla legalità, il 15 novembre, che si celebra nelle scuole, nelle parrocchie e nelle associazioni.

«Il nostro percorso comincia con un primo colloquio con l’educatore della Casa circondariale e con l’avvocato per capire le prospettive che potrebbero aprirsi dopo un nostro intervento a sostegno del ristretto», prosegue il cappellano, rivelando che «si sta sviluppando un’attenzione e una sensibilità particolari sia da parte dei sacerdoti sia dei laici. Tra l’altro ogni settimana chiamo i parroci proprio per favorire e attivare una rete di solidarietà e un contatto più diretto con chi è fuori. Molti di essi scoprono persone completamente diverse da come le immaginavano. I volontari stessi rimangono stupiti delle riflessioni e della profondità dei discorsi dei detenuti. Devo dire che tutto questo è possibile grazie al sostegno del vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, che non fa mai venir meno il suo incoraggiamento e il suo supporto». Salvare la dignità dei detenuti, lottare per la loro emancipazione e il rispetto dei loro diritti, ma anche trovare nuove vie che prevedano alternative alla reclusione sistematica: mentre la situazione altrove resta critica, «Oasi 2» continua il suo servizio anche con il conforto morale e spirituale. «Quando sono stato chiamato dal cappellano del carcere, non ho esitato un minuto, anche in virtù dell’esperienza maturata nel cammino neocatecumenale», racconta Italo Sist, una delle colonne dell’associazione. «Lì ho appreso che il Signore non devo cercarlo in cielo, ma nella vita di tutti i giorni. Ha il volto dei miei fratelli, in particolare quelli sofferenti», continua.

«Al resto ha pensato la pastorale di mediazione, tappa prevista da questa esperienza di fede, che mi ha invitato a farmi prossimo». La scelta del carcere, ricorda il volontario, risale a diversi anni fa e oggi cerca di trasferire la sua esperienza spiegando ai giovani cosa vuol dire prestare servizio al fianco dei detenuti: «È necessario soddisfare il più possibile i loro bisogni materiali e morali. Incontrare i familiari che si sono trovati ad affrontare questo imprevisto della vita. È fondamentale cercare di riattivare il circuito comunicativo con i loro cari e mantenere vivi i contatti con gli avvocati di riferimento. Il tutto per arrivare a ottenere una forma alternativa di detenzione o aiutarli quando hanno scontato la pena». Che è poi l’obiettivo principale di «Oasi 2» che, secondo Sist, «è un presidio ottenuto grazie all’aiuto della Provvidenza per dare una chance a chi è rimasto solo e vuole tornare alle pratiche di vita buona nella società».

di Davide Dionisi