
«Giuseppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro» (Patris corde, 3).
Per chi ama veramente, mille obiezioni non creano un dubbio. Come per chi non ama, mille prove non costituiscono una certezza. Quando Giuseppe si è trovato davanti al mistero, il problema che lo ha angosciato non fu un problema di amore: amare significa aver fiducia, credere, dare credito; ma fu un problema di giustizia, come dice il Vangelo, e di discrezione.
Giuseppe aveva a lungo sofferto e cercato; aveva trovato e deciso la condotta da seguire: aveva obbedito. Quando Dio entra in una vita, comincia generalmente dallo sconvolgerla. «Ci sono benedizioni di Dio che entrano fracassando i vetri» (Card. Pierre-Marie-Joseph Veuillot).
E nonostante tutto; nonostante «non compresero le sue parole» (Luca 2, 50), Maria e Giuseppe si sono fidati di Dio. Hanno obbedito alla sua azione. Hanno vissuto di fede. Giuseppe ha accettato che Dio entrasse in modo così sconvolgente nella sua vita, e che poi per trent’anni non succedesse niente. Non ha avuto bisogno di miracoli, di spiegazioni, di prove: ha creduto; ha obbedito. Egli non sa nulla del mistero inaudito che si è compiuto in Maria; non sa nulla dell’Annunciazione. Accetta la sua vocazione, il suo posto nella Santa Famiglia, obbedendo agli Angeli che gli impongono, in nome di Dio, fughe, lotte, fatiche. «Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria» (Patris corde, 3).
Commentava così Paolo
Inquadrato così nella casa e nella famiglia di Nazareth, Giuseppe rappresenta il modello ideale della spiritualità più esatta al nostro tempo.
L’obbedienza, nella spiritualità cristiana, non sta nel dire sempre sì senza aver fatto nulla, ma è un offrire la propria libertà, la propria intuizione, la propria personalità; senza cambiare dentro, se la coscienza è tranquilla perché dentro c’è Dio.
«Obbedire è un atto nobile; significa affermare che esiste un valore superiore ai capricci individuali» (Card. Désiré Mercier). La vera libertà consiste in una razionale obbedienza. Afferma, giustamente, l’Imitazione di Cristo: «Ti insegnerò la via della pace e della vera libertà. Stùdiati di fare la volontà di altri, piuttosto che la tua… Desidera sempre, e prega, che in te si faccia la volontà di Dio. Un uomo che faccia tali cose entra nel regno della pace e della tranquillità».
Aggiungeva Paolo
Obbedire, secondo la definizione più popolare, vuol dire fare la volontà di un altro. Non vuol dire fare la nostra volontà, ma quella di un altro. E non vuol dire neppure fare la volontà di un altro,.. a patto che coincida con la nostra!
L’obbedienza suppone di trasformare la nostra volontà nella volontà degli altri, rinunciare ai nostri progetti, per entrare nel piano di Dio. E i Superiori, la Legge, le regole, le norme sono una espressione di questo progetto di Dio nei nostri riguardi.
Può sembrare incredibile, ma le svolte decisive nella storia della società e della Chiesa, sono sempre state determinate da uomini e donne che hanno saputo attendere, dando una testimonianza di obbedienza, senza la più piccola incrinatura. Dopo l’esempio di san Giuseppe, possiamo ricordare quello di Garibaldi: «Obbedisco!»; di Giovanni
Scriveva Dietrich Bonhoeffer: «L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio». L’obbedienza autentica deve sbocciare da una scelta libera, che può essere anche sofferta. Altrimenti è schiavitù.
Una conclamata libertà che non ammette confini, che non conosce il rispetto degli altri e dei valori, è semplicemente arbitrio e anarchia.
La persona matura sa che obbedienza e libertà devono coesistere per una vera armonia sociale. Le cose grandi, anche nella nostra vita personale, si pagano con l’obbedienza. Soltanto chi ha la vocazione alla meschinità non sa obbedire.
Potremmo, allora, recitare tutti questa preghiera: «Signore, fammi seminare nell’obbedienza, affinché possa raccogliere nella libertà».
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