· Città del Vaticano ·

L’autore dell’affresco nel rione Trevi dipinse poi la cupola di Washington

Dal piccolo santuario dell’Archetto alla gloria
di Capitol Hill

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12 giugno 2021

Mentre andava dipingendo, fra il 1850 e il 1851, l’immagine dell’Immacolata Concezione al centro della cupola della minuscola chiesetta romana intitolata a Maria “Causa Nostrae Laetitiae”, Costantino Brumidi non poteva supporre che di lì a qualche anno sarebbe stato incaricato di realizzare l’imponente affresco di un’altra cupola, in quel caso enorme, negli Stati Uniti d’America. Il santuario — il più piccolo di Roma — si trova nel rione Trevi, in via di San Marcello, la strada che unisce piazza Santi Apostoli a piazza dell’Oratorio. Si rischia di non accorgersi della presenza del defilato edificio, incastonato fra due palazzi alla fine di un vicoletto, a pochi passi da una famosa birreria. La più celebre delle cupole degli States non può invece passare inosservata: con i suoi novantasei metri d'altezza e ventinove di diametro, e con la sua struttura in ghisa del peso di quattro tonnellate, svetta su Capitol Hill, sede del Parlamento federale Usa. Nel suo oculo trionfa la glorificazione simbolico-esoterica del primo presidente americano, quell’Apoteosi di Washington, disposta su una superficie di più di quattrocento metri quadrati, che proprio l’artista romano, molto apprezzato da Papa Gregorio xvi , avrebbe composto con grande zelo e fatica a partire dal 1865 e fino all’anno della sua morte, nel 1880.

Il santuario dominato dall’Immacolata Concezione di Brumidi, conosciuto come cappella della Madonna dell’Archetto, fu costruito a partire dalla metà dell’Ottocento per ospitare un’effigie di Maria risalente a più di un secolo e mezzo prima: una nobildonna romana l’aveva commissionata nel 1690 al pittore bolognese Domenico Maria Muratori perché fosse offerta alla venerazione pubblica. La Vergine Maria, raffigurata in un dipinto a olio su pietra e murata sotto un archetto che univa due edifici, fu subito invocata col titolo di “Mater Misericordiae” dalla gente che transitava da quelle parti. Poi accadde che, nel 1796, alcuni passanti videro gli occhi del disegno muoversi: le cronache dell’epoca registrarono più di cento episodi analoghi segnalati quell’anno nel centro Italia relativi a sacre rappresentazioni di Maria. Secondo alcuni calcoli, furono circa mezzo milione le persone che assistettero a prodigi simili. Da allora le visite dei fedeli all’Archetto andarono moltiplicandosi, così come gli ex voto deposti ai piedi della Madonnella. Un afflusso talmente intenso che le autorità cittadine per un certo periodo dovettero chiudere con un cancello la stradina nelle ore notturne per evitare confusione e per proteggere gli oggetti, anche preziosi, testimoni delle grazie ricevute. L’impegno artistico di Brumidi nella cappella dell’Archetto fu incomparabilmente più leggero di quello che lo aspettava nel Nuovo Mondo. Il minuscolo e prezioso fabbricato in stile neorinascimentale, voluto dai discendenti della nobildonna per ospitare l’antica effigie di Maria (alla quale furono devoti vari santi, come Vincenzo Pallotti, Gaspare del Bufalo e Benedetto Giuseppe Labre), fu progettato dall’architetto romano Virginio Vespignani a metà del xix secolo, e Brumidi lavorò alla decorazione della cupoletta — circa nove metri di altezza e poco più di quattro di diametro — fra il 1850 e il 1851, anno in cui l’edificio fu definitivamente completato e aperto al pubblico. Il pittore, terminata l’attività nel santuario, trascorse qualche tempo nelle carceri pontificie a causa di una sospettata adesione alla Repubblica Romana del 1849, poi abbandonò definitivamente l’Urbe nel 1852 trasferendosi con moglie e figli negli Usa. Là si dedicò alla divinizzazione iconografica del padre fondatore dell’America, un’occupazione che durò almeno quindici anni e che gli meritò l’altisonante appellativo di “Michelangelo degli Stati Uniti”.

Chissà quante volte, sulle impalcature del Campidoglio americano, mentre attendeva con insonne dedizione e fatica al suo complesso e roboante magnum opus, si sarà sorpreso a ripensare con tenerezza e nostalgia alla facilità con cui aveva tratteggiato la bella immagine dell’Immacolata in quei pochi mesi trascorsi all’ombra del grazioso edificio che ancora oggi se ne sta defilato in un vicoletto di Roma. Anche lì Maria, per usare le parole di Teresina di Lisieux, ha «reso visibile la piccola via per il Cielo, praticando sempre le virtù più nascoste».

di Paolo Mattei