· Città del Vaticano ·

Il beato Rolando Rivi

La talare del cuore

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29 maggio 2021

«Rolando Rivi fu ucciso nel 1945, quando aveva quattordici anni, in odio alla sua fede, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di violenza scatenata contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra». Sono parole di Papa Francesco, durante l’Angelus del 6 ottobre 2013. E continuava: «Quanti giovani di oggi hanno davanti agli occhi questo esempio, un giovane coraggioso, che sapeva dove doveva andare, conosceva l’amore di Gesù nel suo cuore e ha dato la vita per Lui. Un bell’esempio per i giovani!». Francesco era stato da poco eletto Papa e fra i primi beati sceglie proprio lui, un ragazzino di quattordici anni che ha offerto la sua vita per Cristo. Un segno forte, un segno che pone alle nuove generazioni un esempio di coraggio.

Il beato Rolando Rivi, fin dalla sua tenera età, ha amato in maniera sconfinata quel Dio a cui ha voluto offrire la vita. Nella sua infanzia, presenti i primi semi di santità: a soli cinque anni, già serviva Messa al parroco don Olinto Marzocchini. Dopo la prima comunione — nella festa del Corpus Domini del 16 giugno 1938 — Cristo diventa il suo più intimo Amico, e prova verso di lui un affetto semplice e sincero. Comprende, fin da subito, che essere cristiani vuol dire soprattutto avere carità per il prossimo: «La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù».

Il calendario della sua settimana era scandito dai suoi impegni col Signore: la Messa e Comunione quotidiana; la Confessione settimanale; il Rosario alla Madonna ogni giorno. Questa amicizia con Gesù diviene, così, sempre più forte tanto che a soli 11 anni il ragazzo entra nel seminario di Marola nel comune di Carpineti (Reggio Emilia) e veste per la prima volta l’abito talare. Talare, dal latino talaris che vuol dire: “che scende fino ai talloni”. Per Rolando Rivi sarà proprio così: dal capo ai talloni, è tutto di Cristo. Dirà, infatti, della sua veste: «È il segno che io sono di Gesù».

Nell’estate del 1944, il seminario di Marola viene occupato dai soldati tedeschi. Rolando, tornato a casa, continua gli studi da seminarista. E, seppur in casa, non lascia mai il suo habitus. Se calza bene al suo corpo è perché calza bene, soprattutto, al suo cuore.

Il pacifico animo di Rolando, tra strepito di guerra e di cannoni, non smette di portare più giovani possibili all’Eucaristia. Si chiama evangelizzazione.

E il periodo storico in cui vive Rolando Rivi non vuole la pace, né tantomeno l’amore. Il 10 aprile 1945, finisce in mano ai partigiani comunisti di Monchio, vicino Modena. Lì, viene processato. La sua unica colpa: amare il Signore. La sentenza è: «Uccidiamolo, avremo un prete in meno».

Il giovane Rivi viene malmenato, torturato per tre giorni. «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza», vengono in mente le parole dell’evangelista Luca. Rolando Rivi, le aveva scritte nel suo cuore quelle parole. Durante l’esecuzione, infatti, pregava Gesù per sé, per i suoi genitori, per gli stessi suoi aguzzini.

Due colpi di rivoltella segnarono quella veste talare. Ma non il suo cuore. Perché lui, già era in Paradiso.

di Antonio Tarallo