· Città del Vaticano ·

In «Creature» le riflessioni di Giulio Albanese sull’Africa e sugli africani

Per ascoltare davvero
un continente ignorato

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26 maggio 2021

È un libretto di piccolo formato Creature (Frate Indovino 2021, pagine 160, euro 9), elegante nella grafica e stampato su carta di ottima qualità, che raccoglie le riflessioni sull’Africa e sugli africani maturate da Giulio Albanese, nella sua attività di missionario comboniano, in anni di frequentazione del continente più martoriato della terra.

Il sottotitolo Libercolo sulle creature nell’umile percezione di un missionario ispirato dal serafico Francesco non deve trarre in inganno, l’analisi di Albanese scava in profondità nelle realtà di quello che ormai si definisce quarto mondo. Dieci capitoli raccontano in tono pacato ma senza debolezze della bellezza dell’Africa, delle sue ricchezze immense e dello sfruttamento cui è sottoposta da parte delle nazioni ricche del mondo. Uno sfruttamento che diviene oppressione politica e militare, che si trasforma in corruzione e inefficienza, in povertà diffusa e privilegio di pochissimi, in mancanza di istruzione, libertà e democrazia, quando non dei beni necessari a garantire alimentazione e salute. Tutto ciò si ripercuote sulla natura, vittima terminale della rapacità umana. Albanese scrive di paesaggi abitati fino a qualche decennio orsono da elefanti e gazzelle e ormai privati della presenza dei grandi mammiferi, sterminati dal bracconaggio, mentre il deserto sahariano avanza in ogni direzione.

Non mancano tracce di apertura alla speranza, a ogni livello. Creature racconta del gigantesco programma in corso d’opera che prevede la creazione di una barriera capace di fermare l’avanzata del deserto: la Grande muraglia verde africana, ossia la realizzazione di una striscia di foresta lunga 7.800 chilometri e larga 15, dal Senegal a Gibbuti, considerata dalla Nazioni Unite il progetto di punta del decennio 2021-2031. Un’iniziativa di riorganizzazione sociale e ambientale che seppure lentamente è già in movimento, anche se ha raggiunto solo il 15 per cento degli obbiettivi fissati.

A fianco delle attività promosse dagli Stati, Albanese scrive di iniziative partite dal basso, come quella di Yacouba Sawadogo, un contadino che recuperando tecniche tradizionali di conservazione dell’acqua e di concimazione è riuscito a realizzare quasi solo con le proprie mani una foresta estesa su 50 ettari, ripopolata con animali che nella regione sembravano destinati a scomparire.

Con preciso senso della narrazione, Albanese pone nel finale del libro gli elementi che descrivono, e svelano agli ignari, la condizione strutturale africana. Nel 1960 il continente contava 284 milioni di abitanti, divenuti oggi un miliardo e 306 milioni. Nel 2050 si prevede saranno circa due miliardi e mezzo. Se l’Italia avesse vissuto uno crescita demografica analoga adesso avrebbe quasi duecento milioni di abitanti. L’indice di dipendenza, ossia il rapporto tra la componente adulta della popolazione e quella troppo giovane o troppo vecchia per lavorare, è attualmente simile a quello europeo, anche se speculare. In Africa ci sono molti bambini, da noi tanti anziani. Ma il dato è destinato a cambiare, divenendo favorevole agli africani. L’inurbamento nelle grandi città procede con ritmi ancora più accelerati che nel resto del mondo, provocando problemi gravissimi, in termini di mancanza di acqua, igiene ed energia. Si stima che nell’Africa sub sahariana più della metà dei quasi seicento milioni di abitanti non abbia accesso all’elettricità, i 48 Paesi della macroregione producono insieme la stessa energia della Spagna, pur avendo una popolazione 18 volte superiore.

Un panorama che deve far riflettere e che dà la dimensione delle cause che si trovano a fondamento del fenomeno migratorio in uscita dall’Africa, del quale noi europei osserviamo solamente quello che va considerato un riflesso marginale.

di Sergio Valzania