· Città del Vaticano ·

Le linee di intervento del gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”

Aprire nuove strade
per combattere il male

Il reliquiario con la camicia insanguinata del beato Rosario Livatino
18 maggio 2021

Domenica 9 maggio, in coincidenza con la beatificazione di Rosario Livatino, proprio per onorare il «primo magistrato beato nella storia della Chiesa che ha esercitato coraggiosamente la professione come missione laicale», il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”, con l’obiettivo di «approfondire il tema, collaborare con i vescovi del mondo, promuovere e sostenere iniziative». Il gruppo, coordinato da Vittorio V. Alberti, è composto da Rosy Bindi, don Luigi Ciotti, don Marcello Cozzi, don Raffaele Grimaldi, monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e monsignor Ioan Alexandru Pop. Si tratta di una commissione di lavoro che vuole dare sostanza pastorale, dottrinale, culturale e giuridica al magistero pontificio su questi temi. Dallo storico appello per la conversione dei mafiosi, pronunciato da Giovanni Paolo ii nella Valle dei templi di Agrigento nel 1993, fino alla recente “scomunica” sancita da Papa Francesco a Sibari, in Calabria, nel 2014, quando affermò che i mafiosi «non sono in comunione con Dio: sono scomunicati». Per capire in che contesto e con quali finalità nasce questo nuovo “impegno” vaticano, «L’Osservatore Romano» ha intervistato il coordinatore del gruppo, Vittorio V. Alberti, officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. «L’approfondimento della scomunica ai mafiosi — spiega — rientra nei 21 punti usciti dal “Dibattito internazionale sulla corruzione” del giugno 2017, dal quale presero avvio le iniziative contro la corruzione dell’allora appena nato dicastero. Allora si formò una task force sulla giustizia che, come disse il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, si doveva rivolgere all’opinione pubblica e a diverse istituzioni per generare una mentalità di libertà e giustizia, in vista del bene comune. Il dicastero, infatti, secondo lo statuto, promuove i valori concernenti la giustizia affinché cresca tra i popoli l’impegno in questa direzione. Il contrasto alla corruzione è centrale nel pontificato di Papa Francesco.

La vostra preoccupazione è che le parole di Papa Francesco a Sibari sulla scomunica ai mafiosi abbiano conseguenze pastorali concrete?

«La realtà è più importante dell’idea», scrive il Pontefice. È quindi fondamentale chiarire cosa sia questa scomunica e, insieme, promuovere e sostenere iniziative, definire percorsi pastorali e culturali mettendo al centro le vittime, l’accompagnamento alla conversione e la riparazione del danno commesso. Nella mentalità corrente, anche nel mondo cattolico, si pensa che la scomunica sia una specie di condanna dell’Inquisizione. Ebbene, non è questo. Partiamo da qui. Il fine è sempre lo sviluppo umano, che la corruzione e le mafie impediscono.

Cercherete di fare rete con le diocesi che già lavorano per contrastare le mafie?

Dobbiamo collaborare con i vescovi del mondo. Su questo punto il cardinale Turkson insiste molto. Gli proporrò un coordinamento e un osservatorio di vescovi, sacerdoti, suore, laici impegnati in queste cose.

Uno degli obbiettivi è anche cancellare ogni possibile contiguità tra Chiesa e mafia?

Certo. Pensiamo alla mentalità corrente, a tanti episodi della storia e anche alla letteratura e al cinema. Papa Francesco ha aperto una pista. Bisogna approfondirla, ampliarla e rafforzarla chiarendo che l’appartenenza alle mafie è inconciliabile con l’appartenenza alla Chiesa, quindi al cattolicesimo.

La mafia è solo la criminalità organizzata?

Sono due cose diverse. La mafia è una struttura che viene da cause storiche che vanno conosciute. La criminalità organizzata è una categoria più semplice. Soprattutto, occorre mettere a fuoco la dimensione internazionale delle diverse mafie. In molti Paesi del mondo, penso per esempio a nazioni europee, si pensa ancora che le mafie siano una sorta di fenomeno folkloristico del meridione d’Italia.

Al di là della riaffermazione della scomunica, il gruppo farà anche un lavoro di prevenzione e recupero?

Sì, e ci auguriamo di riuscirci. Promuovere lo sviluppo umano e sostenere iniziative significa accompagnare, collaborare, aprire ponti. La questione centrale è questa: intorno a mafie e corruzione c’è un’enorme sofferenza. Sono fenomeni planetari molto seri, gravi e diffusi che interessano i principali dilemmi del nostro tempo, dalle disuguaglianze all’inquinamento dell’economia e della natura, dalle libertà strangolate al traffico di migranti, dallo sfruttamento della pandemia alle droghe, eccetera. Non si può restare indifferenti all’urlo di dolore che viene da popoli interi, così come da singole persone inermi. Occorrerà agire molto nelle periferie e nelle carceri, luoghi di dolore e, speriamo, redenzione.

di Fabio Colagrande