· Città del Vaticano ·

La testimonianza del parroco della Sacra Famiglia a Gaza e il suo appello
a tutte le parti in lotta: fermate le violenze

Un grido di pace
sotto le bombe

(Mohammed Abed /Afp)
12 maggio 2021

«Non c’è elettricità e mentre parliamo sento il frastuono dei razzi che partono e delle bombe che cadono. Di solito è la notte il momento più intenso delle schermaglie, che normalmente di giorno si placano. Ma in questo tragico frangente purtroppo non è così; non c’è tregua. È un vero disastro, si contano morti, tra i quali donne, bambini e disabili, e si soccorrono i feriti». Dalla Striscia di Gaza, padre Gabriel Romanelli risponde al telefono ma tiene costantemente l’altro orecchio teso verso l’esterno. Il fischio delle sirene si percepisce neanche troppo distante, ma dalla sua voce non trapelano agitazione né paura per quanto sta accadendo. Il parroco della Sacra Famiglia, che si trova nel popolare quartiere di al-Zaytun, però non nasconde nemmeno la propria preoccupazione per l’escalation militare che potrebbe portare a un nuovo conflitto tra palestinesi e israeliani. «In nome di Dio le parti in lotta si fermino»: è il suo accorato appello che rilancia quello del Patriarca latino di Gerusalemme e dei capi delle Chiese cristiane di Terra Santa. «È l’ingiustizia — aggiunge citando san Giovanni Paolo ii — la radice della mancanza di pace. Per questo chiediamo un passo indietro a entrambi i contendenti! Solo garantendo i diritti di tutti si può arrivare alla riconciliazione. È una strada lunga, lo sappiamo, che umanamente parlando sembra impossibile; per questo dobbiamo rivolgerci al Signore con la preghiera incessante».

Del resto, si tratta anche di restituire fiducia a gente piegata da una situazione economica e sanitaria che era già disastrosa a causa di annose tensioni, alle quali si sono aggiunti i danni provocati dalla pandemia da covid-19. «Finalmente da una settimana — commenta amareggiato il missionario dell’istituto del Verbo incarnato — eravamo potuti tornare a una certa normalità: una sorta di “lockdown” era rimasto solo da mezzanotte alle sei del mattino e noi come comunità stavamo faticosamente cercando di riprendere le normali attività; ma per le strade ormai non c’è sicurezza e la gente preferisce restarsene chiusa in casa».

Animato da una fede incrollabile nel Dio fattosi uomo proprio in questi luoghi, il parroco argentino che da 25 anni vive in Medio Oriente esorta ad affidarsi alla forza della preghiera. «Mi è tornato in mente in queste ore — spiega — un episodio riguardante padre Pio, raccontato da diversi piloti militari angloamericani impegnati nell’Italia meridionale durante la seconda guerra mondiale. Pur non conoscendo il volto del santo di Pietrelcina, testimoniarono che apparve loro “in mezzo alle nuvole” la figura di un frate con le mani alzate mentre erano in volo di ricognizione nei cieli di San Giovanni Rotondo, al punto che il convento fu risparmiato dai bombardamenti. Ecco, anch’io spero che “ci vedano attraverso le nuvole” grazie alla nostra preghiera», confida in un italiano che a volte prende in prestito vocaboli spagnoli. «I circa due milioni di abitanti della Striscia — afferma — sono quasi tutti musulmani; noi cattolici siamo appena 133, sommando ai fedeli laici anche i religiosi; un piccolissimo gregge anche all’interno della minoranza formata da 1.077 cristiani, per lo più greci-ortodossi. Eppure l’86 per cento dei miei parrocchiani ha partecipato ai riti pasquali».

Situata nella parte orientale di Gaza City, la chiesa della Sacra Famiglia porta questo nome perché si trova lungo la “Via maris” percorsa per ben due volte da Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù nella fuga in Egitto e nel ritorno verso Nazareth. Guidata per secoli dai francescani della Custodia di Terra Santa, in seguito è passata al clero del Patriarcato latino di Gerusalemme, che negli ultimi quindici anni l’ha affidata all’istituto di cui è membro padre Romanelli. «Siamo due sacerdoti e un novizio palestinese proprio di Gaza, un bel regalo che ci ha fatto la Provvidenza», dice, aggiungendo che collaborano anche due sorelle della stessa famiglia religiosa. Oltre a loro, nella Striscia ci sono cinque missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta, che hanno un centro per bambini abbandonati e disabili e per anziani soli, nel quale sono ospitate ben 75 persone; e tre suore del Santo Rosario di Gerusalemme, la congregazione fondata da Maria Alfonsina Danil Ghattas, canonizzata da Papa Bergoglio. Queste ultime gestiscono la più importante scuola di questo territorio — pericolosamente vicina all’area dei bombardamenti di queste drammatiche ore — che assicura istruzione indipendente dalla religione professata. Semi di bene gettati tra le nuove generazioni per sperare di costruire un futuro di pace.

di Gianluca Biccini