· Città del Vaticano ·

La questione dei detriti in orbita

Spazio: la sfida
della sostenibilità

 Spazio: la sfida  della sostenibilità   QUO-106
12 maggio 2021

Se sulla Terra ci avviciniamo ad una nuova era di ecologia e sostenibilità ambientale, anche a qualche centinaio di chilometri sopra le nostre teste c’è un certo bisogno di “mettere a dieta” le operazioni spaziali rendendole più sostenibili e pulite. Il nostro spauracchio orbitante sono i detriti spaziali, letteralmente frammenti di “spazzatura spaziale” che corrono indisturbati attorno al nostro pianeta.

Si definiscono detriti spaziali tutti i manufatti umani in orbita attorno alla Terra che abbiano perso le loro funzionalità: sono satelliti spenti, stadi di razzi che hanno terminato la loro missione, frammenti un tempo appartenenti a veicoli spaziali esplosi o separatisi in più parti. E perché sono così pericolosi? Perché non possiamo controllarli e perché viaggiano a velocità di svariati chilometri al secondo, rimanendo in orbita per anni (se non decenni) attorno al nostro pianeta anche dopo aver perso le originarie funzionalità.

Immaginate di dover dire addio alla vostra vecchia macchina. Invece di portarla allo sfasciacarrozze, lanciatela in autostrada tenendo l’acceleratore premuto con un’asse di legno, come in alcuni vecchi film. Lasciate la macchina al suo destino: quanto sono alte le probabilità di un incidente? Molto alte. Immaginate non una, ma migliaia di auto impazzite sulla stessa autostrada: vi aiuterà a capire quanto è serio il problema dei detriti spaziali oggi, che sono centinaia di milioni. Un impatto orbitale con questi oggetti avviene a velocità relative di decine di migliaia di chilometri all’ora, spesso sufficienti a distruggere un satellite o, nella peggiore delle coincidenze, una navicella con equipaggio. È di qualche giorno fa il video incredibile della capsula americana Dragon dove si vede un grosso detrito sfiorare la capsula pochi minuti dopo il lancio, dove una collisione avrebbe potuto comportare dei rischi per la vita degli astronauti.

Come se non bastasse, dopo un impatto, nuovi detriti vengono generati e dispersi in orbita. Con l’aumento dei detriti a causa dell’impatto, aumenta il rischio di impattare con i satelliti attivi, che farà inevitabilmente aumentare questi eventi in futuro, generando sempre più detriti. Questo pericoloso circolo vizioso è un fenomeno che viene chiamato “Sindrome di Kessler” e potrebbe portarci presto a una saturazione del nostro spazio esterno, con la conseguente impossibilità di lanciare nuovi satelliti in orbita senza correre enormi rischi di essere colpiti dai detriti.

Come facciamo a “difenderci” da questa minaccia? Abbiamo tanti assi nella manica, a partire dal monitoraggio e dalla catalogazione: sono anni che riusciamo a osservare i detriti con i telescopi e a tracciarli con i radar, identificandoli e tracciandone le orbite. Per i frammenti più grandi riusciamo anche a prevedere in anticipo quando le loro orbite incroceranno le traiettorie dei nostri satelliti, facendoli “spostare” per tempo, evitando i frammenti. Prevenire è anche meglio che curare: sono state elaborate normative che prevedono di non rimanere in orbita più di 25 anni, così da far bruciare in atmosfera i satelliti in maniera controllata prima di farli guastare in orbita, rendendoli un pericolo per i decenni a venire.

La strategia che segnerà il nostro futuro è quella della rimozione: buffo a dirsi, ma se l’umanità è riuscita a “sporcare” lo spazio esterno, è ancora una sfida tecnicamente molto complicata quella di catturare e rimuovere anche un solo detrito di grosse dimensioni. La via è ancora lunga, ma ci stiamo avvicinando in maniera significativa all’obiettivo che aiuterà a rendere le nostre orbite più pulite e le operazioni spaziali delle nuove generazioni sempre più sostenibili.

di Paolo Marzioli