· Città del Vaticano ·

Rileggendo T.S. Eliot

Un mosaico di rovine

«Fireside», un progetto di rivista del giovane Eliot
11 maggio 2021

È un problema che accomuna i classici, di ogni disciplina, ma soprattutto i giganti della letteratura mondiale: un timore reverenziale che facilmente si trasforma in indifferenza. L’antidoto è ricominciare da capo, ripartire dalle basi, come si direbbe in “didattichese”, rileggere (o meglio, leggere “davvero”, disponibili a lasciarsi stupire) quello che si pensa già di conoscere.

Ci ha provato Daniele Gigli, con il suo T.S. Eliot. Nel fuoco del conoscere (Milano, Edizioni Ares, 2021, pagine 168, euro 14) ripercorrendo l’itinerario umano e spirituale di un superclassico spesso intrappolato in schemi interpretativi che lo riducono alla caricatura di se stesso, e traducendo ex novo versi consumati dai Bignami della citazione che meritano di essere “davvero” ascoltati nella loro vertiginosa profondità. «A me sembra che per lui — spiega Gigli, intervistato da Davide Brullo — come per il sodale Pound e per tanti altri grandi del Novecento, siano quelli canonizzati tra i “giusti”, siano quelli canonizzati tra gli “eretici”, valga in realtà il principio della monumentalizzazione che il compianto Rodolfo Quadrelli paventava e stigmatizzava: cioè, si rende un artista o un pensatore monumento, così da non doverci fare sul serio i conti. Perché un monumento non ti interroga davvero, puoi inchinarti, passare avanti e proseguire bellamente a farti i fatti tuoi… La mia intenzione nel ripresentarlo è proprio di abbattere il monumento e restituire il nucleo carnale e pulsante».

Un esempio tra i tanti possibili: Gigli suggerisce di tradurre il celeberrimo The Waste Land pubblicato quasi un secolo fa (1922), evitando il titolo che va per la maggiore in Italia, La Terra desolata, ma recuperando il più preciso e suggestivo Il Paese guasto, che salva il concetto di “qualcosa che si è corrotto, che è stato sciupato” e anche il suono delle consonanti del testo originale (waste/guasto). Una scelta maturata sulla scorta di un suggerimento di Giorgio Caproni, che già negli anni Sessanta notava l’evidente riferimento al quattordicesimo canto dell’Inferno dantesco, «e che prima di me — continua Gigli — già Angiolo Bandinelli raccolse nel 1996 per la sua bella e troppo poco nota traduzione».

È il poema delle rovine, The Waste Land, come tanta critica ci ha abituato a pensare? Certamente sì, risponde l’autore del saggio, «ma queste rovine Eliot non vuole “puntellarle”, come ci suggerisce una traduzione inveterata e che in fondo tiene poco conto dello sviluppo del poema. Al contrario, queste rovine le usa come materiale per una nuova edificazione». Nel libro, continua Gigli, «non lo dettaglio perché in fondo è un argomento indiziario – valido per una schermaglia accademica più che per una comprensione profonda — ma anche il verbo shore up, nel linguaggio tecnico dell’edilizia, è quello che si usa per dire “tirare su”». Perciò This fragments I have shored against my ruins non è “con questi frammenti ho puntellato le mie rovine” ma piuttosto qualcosa come “Questi frammenti ho edificato contro le mie rovine”. Non per nulla, il verso successivo, userà la Spanish Tragedy di Thomas Kid per dire “Bene, vi assegnerò le parti”. Non è un puntello a qualcosa che crolla, è raccogliere i cocci per ricostruire un edificio. È il tentativo — che un anno dopo, parlando del metodo mitico di Joyce, descriverà meglio — «di controllare, di ordinare, di dare una forma e un significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea».

Un Eliot (per fortuna) umano, troppo umano, quello che emerge dal libro. Un saggio, in fondo dovrebbe avere questo scopo, conclude Gigli, aiutare ad accostarsi ai classici «nello stesso modo in cui, alle origini del pensiero, ogni pensatore si accostava a chi lo aveva preceduto. Non come, cioè, a complessi di concetti e raggiungimenti speculativi, ma come a fonti vive di tradizione e di sapienza, possibili compagni di strada nell’avventura della vita e della sua scoperta».

di Silvia Guidi