· Città del Vaticano ·

Paolo VI e il cardinale teologo francese Jean Daniélou

Una sintonia pastorale

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04 maggio 2021

Jean Daniélou (1905-1974) fu creato cardinale nel concistoro del 28 aprile 1969. Una settimana prima ricevette la consacrazione episcopale. Durante la cerimonia alcune persone lanciarono dalle finestre dei pamphlet per contestare la sua consacrazione episcopale, in quanto chiedevano dove fosse il popolo di questo vescovo senza diocesi. Nelle sue memorie, Daniélou risponderà che il suo popolo fu quello dei giovani, soprattutto degli universitari.

Jean Daniélou, che in passato fu accusato di aver promosso una nouvelle théologie, che agli occhi di Garrigou-Lagrange altro non era che un ritorno al modernismo, fu creato cardinale da Paolo vi . Per il gesuita questo onore fu assolutamente inatteso. Egli aveva solo 65 anni, la sua nomina, quindi, andava oltre il riconoscimento del suo contributo teologico. Senz’altro il suo influsso, durante e dopo il concilio Vaticano ii , era fuori discussione, ma il gesuita era il primo a riconoscere i propri limiti speculativi, ed era consapevole di non poter competere con la profondità di Henri de Lubac o di Yves Congar, che saranno onorati con il cappello cardinalizio molti anni dopo. Una volta, Daniélou chiese al Papa il motivo di tale decisione e Paolo vi si limitò a dire: «Cela ne vous regarde pas».

Certamente, Paolo vi aveva i suoi motivi. Tra il Papa e Daniélou intercorreva un rapporto di profonda amicizia. Il cardinale gli faceva visita al meno due volte all’anno. Alla morte del porporato, Paolo vi , nelle condoglianze fatte all’arcivescovo di Parigi, confesserà di sentire un dolore ancora più vivo a causa dei legami particolari di stima e di affetto che lo univano alla sua persona. Il teologo, fedele ai suoi voti da gesuita, si sentì vitalmente legato alla Sede Apostolica e alla missione del Sommo Pontefice e non perdeva occasione per riflettere a partire dagli interventi del Pontefice e promuovere il suo Magistero.

Con la porpora, Paolo vi non gli affidò alcun altro ufficio, cosa strana trattandosi di un cardinale di soli 65 anni. La sua elevazione al cardinalato fu dunque un riconoscimento per l’impegno del teologo nella difesa degli orientamenti fondamentali e genuini del concilio di fronte alle deformazioni, reticenze e false interpretazioni che pullulavano nei vari schieramenti. Di fronte alle ermeneutiche di rottura — tradizionali o progressiste che fossero — Daniélou promuoveva ciò che anni più tardi Ratzinger chiamerà «ermeneutica della continuità».

Possiamo ritrovare in Daniélou una profonda sintonia pastorale con l’orientamento che Paolo vi stava dando alla Chiesa, in piena fedeltà alla tradizione ma al contempo in dialogo con il mondo. Un esempio concreto di questa difesa, non solo con gli scritti, ma con la prassi, fu la raccolta di firme che il cardinale promosse, tra il 1968-1969, per rafforzare l’adesione della Chiesa francese al Papa. In quell’occasione si raccolsero circa 160 mila firme.

La sua adesione al Papa lo portò ad entrare in contrasto con alcuni dei suoi colleghi. Nel 1969 diversi teologi firmarono una lettera denunciando ciò che consideravano l’ingerenza di Roma nel lavoro e nella libertà dei teologi. Daniélou si rifiutò di dare la sua adesione e spiegò la sua posizione in «La liberté de la recherche théologique», articolo pubblicato nella «Documentation catholique». Lui in passato soffrì per la sua libertà come teologo — a causa delle censure che vennero con la Humani generis — e sarebbe stato disposto a soffrire ancora per difendere questa libertà, ma il cardinale era pure convinto che la Chiesa, soprattutto dopo il Vaticano ii , era ormai molto lontana dal reprimere il lavoro teologico. Essa aveva però il dovere di difendere il deposito della fede di fronte alle proposte che ne avrebbero svuotato il senso. Infatti, ciò che veramente paralizza la ricerca non è la gerarchia o Roma, ma la mancanza di rispetto per la natura stessa della fede.

Il tema del dialogo è forse l’aspetto che più avvicina Daniélou a Papa Montini. Paolo vi introdusse nella Chiesa il dialogo come categoria teologica e pastorale. Ecclesiam suam è la road map della dinamica dialogica insita nella rivelazione. Da parte sua, Daniélou, nelle sue memorie si è considerato un uomo di dialogo. Già ai tempi di Pio xii , aveva raccolto alcuni suoi articoli in un volume intitolato Dialogues che fu ritirato dalle biblioteche gesuite durante la controversia della nouvelle théologie. Il cardinale intraprese un dialogo a tutti i livelli: il dialogo culturale — lui stesso era un uomo di grande cultura; il dialogo con protestanti ed ebrei; il dialogo interreligioso — motivato in buona parte dalla conversione di suo fratello all’induismo; il dialogo con la filosofia e perfino con il marxismo.

In questo dialogo, sia Paolo vi che Daniélou, furono mossi dalla cura del popolo di Dio, di quel popolo dei poveri bisognosi non solo di pane, ma anche di strutture cristiane dove la propria fede potesse svilupparsi. Questa attenzione per i poveri, però, non fece sì che dimenticassero l’importanza della formazione e dello slancio delle élites dei cattolici intellettuali.

Chiudiamo questa rassegna storica con la lettera che Paolo vi inviò al Preposito generale dei gesuiti dopo la morte del cardinale. Il Papa, nonostante i sospetti che si diffusero attorno alla sua morte, lo ricorda con parole commoventi: «Profondamente addolorati dalla inaspettata notizia della morte del cardinale Jean Daniélou, che ha servito la Chiesa e onorato cotesta Compagnia con la vasta dottrina patristica e teologica, con la ricchezza, l’importanza, l’originalità delle sue innumerevoli pubblicazioni, vanto della cultura cattolica, con la convinta e sofferta ed esemplare fedeltà alla Chiesa madre e maestra, ne ricordiamo la eletta e umile figura di sacerdote, di religioso, di membro illuminato dal sacro collegio e invochiamo dal Signore il premio alle sue lunghe fatiche per la buona causa della diffusione della fede cristiana specie negli ambienti universitari e culturali».

di Marcelo Bravo Pereira