· Città del Vaticano ·

Il 5 maggio di duecento anni fa moriva Napoleone
Due volumi di Sergio Valzania sull’epopea napoleonica

Razionalità illuministica
e sensibilità romantica

Un dipinto dell’Ottocento raffigurante la Guardia Imperiale
04 maggio 2021

Era il pomeriggio del 5 maggio di duecento anni fa quando moriva a Sant’Elena Napoleone Bonaparte. Da quel momento il suo “mito”, che già aveva iniziato a circolare, conobbe una diffusione repentina sull’intero continente europeo. Gli schieramenti che per anni si erano opposti sui campi di battaglia non tardarono a riproporsi sul terreno delle lettere e delle arti, della memorialistica e della storiografia. Dopo la morte del generale corso, infatti, si combatterono guerre a colpi di dizionari, pamphlet, poesie, romanzi, quadri e sculture. Quello che ad alcuni era apparso come il coerente difensore dei princìpi della Francia rivoluzionaria e il liberatore di popoli dall’oppressione esercitata dalle aristocrazie e dalle monarchie d’ancien régime (tale, ad esempio, era l’immagine che si ricavava dal Memoriale di Sant’Elena di Emmanuel de Las Cases), per altri non era stato che un crudele tiranno, che aveva proseguito la tradizione dell’autoritarismo, che si era servito senza scrupoli della polizia politica e della censura e che aveva inseguito i suoi sogni di grandezza con smisurata superbia.

Questi due poli non esauriscono certo il ventaglio delle posizioni che per decenni si scontrarono: dal secolo decimonono in avanti, si può sostenere che quasi tutte le personalità rilevanti della cultura occidentale si siano occupate di Bonaparte, anche solo incidentalmente. Persino Freud, nell’Interpretazione dei sogni, vi fa riferimento, quando parla della sua «fobia romana». Napoleone, di cui aveva letto nella Storia del consolato e dell’impero di Adolphe Thiers, gli ricordava Annibale: non avevano forse entrambi, sia pur in epoche distantissime, valicato le Alpi per entrare nella penisola?

Col tempo, le controversie su Napoleone non si sono acquietate, anzi sembrano talvolta riaffiorare, giungendo persino ad animare il dibattito culturale e politico dei nostri giorni. In questo bicentenario napoleonico, le discussioni, soprattutto in Francia, si sono concentrate sull’opportunità stessa di organizzare iniziative pubbliche per commemorare colui che, con le sue guerre, provocò la morte di centinaia di migliaia di uomini e che decise di ripristinare la schiavitù. Non è un caso che la grande mostra organizzata negli spazi parigini della Villette, la cui inaugurazione è stata rimandata a causa della pandemia, presenti al pubblico i documenti d’archivio con i quali nel 1802 si restaurava la schiavitù nelle colonie francesi.

L’anniversario è inoltre l’occasione per la pubblicazione di nuovi studi che consentono di approfondire l’opera di Napoleone da prospettive diverse, sottolineandone in particolare le contraddizioni e le zone d’ombra. Tra queste ricerche si segnalano due volumi di Sergio Valzania. Napoleone (prefazione di Raimondo Luraghi, Palermo, Sellerio, 2021, pagine 232, euro 13), che costituisce la riedizione di un testo uscito originariamente nel 2011, a partire dalla trasmissione radiofonica «Alle otto della sera», e Napoleone e la Guardia imperiale. La storia delle truppe che permisero al generale di costruire un impero (Milano, Mondadori, 2021, pagine 276, euro 22), in cui, leggendo «contropelo» le fonti e servendosi delle acquisizioni della letteratura secondaria più recente, Valzania ripercorre l’evoluzione degli eserciti napoleonici. Nei due scritti, si troverà non solo una meticolosa analisi delle campagne di Bonaparte, descritte con una prosa sempre chiara, ma anche l’accurata esposizione tanto della sua parabola politica, dal colpo di Stato del 18 brumaio all’incoronazione come imperatore fino alla caduta e all’esilio, quanto della sua azione di governo: dalla stesura del Codice civile all’organizzazione delle prefetture, dalla sistemazione del sistema stradale al riassetto finanziario e monetario, fino all’organizzazione della scienza e della cultura.

Dalla trattazione di Valzania emerge a più riprese l’idea che Napoleone sia stato un uomo profondamente diviso tra due mondi: da una parte, legato a doppio filo alla razionalità illuministica; dall’altra, già proiettato verso una sensibilità di tipo romantico. Di questa oscillazione costante si trova traccia nel suo percorso biografico, militare e politico.

Da un lato, infatti, Napoleone aspira a fondare un impero universale, dall’altro non riconosce le conseguenze della mondializzazione che si sta affermando, come dimostra il fatto che ha scarsa consapevolezza della superiorità inglese sui mari e che continua in modo ostinato a pensare di poter invadere l’isola, quando l’impresa appare del tutto insensata. Ancora: da un lato, mette mano a un vasto programma di modernizzazione e razionalizzazione amministrativa e giuridica, dall’altro adotta una politica familista e si ispira nella sua condotta allo slancio sentimentale di uno dei protagonisti del suo romanzo giovanile, Clisson e Eugénie: tormentato dalla fine della sua storia d’amore con Eugénie, il soldato Clisson cerca volontariamente la morte in battaglia. Si può affermare che lo stesso Napoleone abbia contribuito alla costruzione dell’immagine di sé come eroe tragico, non diversamente da Clisson. L’indecisione tra illuminismo e romanticismo, sottolinea Valzania, è una delle ragioni che non consente a Bonaparte di delineare un programma politico coerente e di lungo periodo. In lui, l’inquieta e a tratti rabbiosa necessità di confrontarsi con una contingenza in costante mutamento, nella maggior parte dei casi ricorrendo alla violenza dei mezzi militari e della repressione, pare prevalere su una valutazione ponderata degli obiettivi che avrebbero dovuto indirizzare la sua strategia.

L’unica ambizione che non viene mai meno è la volontà di imporsi tra i grandi condottieri e conquistatori della storia, di essere ricordato accanto ad Alessandro e Cesare, figure che ha meditato lungo tutto l’arco della sua esistenza: in esilio a Sant’Elena detterà febbrilmente al suo paziente valletto e segretario Marchand un Compendio delle guerre di Giulio Cesare, una riflessione sui commentari cesariani non priva di qualche spunto originale.

Oggi, siamo di fronte a due processi che, benché differenti, hanno più punti di intersezione e convergenza. Anzitutto, un imponente lavoro di ripensamento del passato, che include la rilettura critica di personaggi, fasi e nodi della storia e che intende gettare uno sguardo originale sul rapporto tra memoria e oblio. In secondo luogo, assistiamo a un rinnovamento dello statuto stesso degli studi storici, che stanno faticosamente tentando di conciliare prospettive regionali e globali e si stanno affacciando su temi inediti o finora poco indagati. In questo periodo di crisi e di trasformazione, come ci ricorda Valzania, il «problema Napoleone», con tutti i suoi effetti sulla storia europea e mondiale, è una questione culturale di primaria importanza che non può essere aggirata.

di Giovanni Cerro