· Città del Vaticano ·

L’eroico sacrificio di tanti sacerdoti italiani durante la seconda guerra mondiale

I partigiani del Vangelo

Nella foto da sinistra verso destra: don Francesco Babini, don Francesco Repetto, il frate domenicano Giuseppe Girotti e frá Placido Cortese.
24 aprile 2021

Francesco Babini, della diocesi di Sansepolcro, fu arrestato dai nazifascisti per aver ospitato nella sua casa due ufficiali inglesi e un aviatore: dopo snervanti interrogatori fu spogliato dell’abito talare e trasferito nelle carceri delle “ss” di Forlì. Il 26 luglio del 1944 fu fucilato. Aveva 28 anni. Giuseppe Donadelli, parroco di Vallisnera di 26 anni, il 2 luglio del 1944 fu prelevato, insieme a due giovani di Azione cattolica, da tre individui guidati da un tenente della milizia fascista e ucciso lungo la strada. Eugenio Grigoletti, parroco di Adelano della diocesi di Pontremoli, fu fucilato dai tedeschi nella sua canonica il 3 agosto del 1944. La sua colpa era stata quella di avere in casa oggetti appartenenti ai partigiani e agli americani paracadutati in zona. Ludovico Sluga, vicario cooperatore di Circhina (arcidiocesi di Gorizia), fu prelevato insieme al confratello don Piščanc e altri undici fedeli e trucidato a Circhina per rappresaglia il 5 febbraio del 1944 per poi essere seppellito nel bosco in una fossa comune. Padre Biagio Trani, cappuccino, fu ucciso il 7 aprile 1944 a Terracina da un soldato tedesco che l’aveva scambiato per una spia e in segno di rappresaglia per l’uccisione di un soldato da parte dei partigiani..

Sono soltanto quattro drammatiche storie pescate tra le tante che costellarono “il massacro dei sacerdoti” avvenuto negli anni che dilaniarono l’Italia tra il settembre 1943 e la primavera del 1945. Anni in cui il comune denominatore fu la follia omicida. Secondo uno studio raccolto da Frediano Sessi in un saggio a più voci, furono 190 i parroci catturati e uccisi dai fascisti (alcuni previe terribili torture), mentre 120 furono catturati e giustiziati dai tedeschi e forse 119 per mano partigiana. Molti di loro morirono andando contro le indicazioni che raccomandavano la massima prudenza, altri invece abbracciarono la causa della libertà su suggerimento dei loro superiori. La percentuale maggiore delle morti per mano partigiana, avvenne nel triangolo della morte emiliano: un prezzo durissimo pagato da uomini che morirono come servitori di Dio.

A partire dall’8 settembre 1943 e fino al termine della guerra (e magari anche oltre considerando gli strascichi di violenza successivi al 25 aprile), molti prelati furono chiamati a scegliere sul “se” e sul “come” accettare e coprire le decisioni dei propri fedeli oppure ottemperare o meno alle esigenti richieste delle parti in campo. In ossequio alla stessa caratteristica drammatica della guerra fratricida, diverse furono le opzioni operate sul campo da tanti sacerdoti chiamati alla scelta. Alcuni salivano in montagna con le funzioni per così dire di cappellani militari presso le formazioni partigiane, altri offrirono un contributo il più possibile nascosto nell’aiuto ai perseguitati e fuggiaschi, finendo talvolta la loro vita davanti a un estemporaneo plotone di esecuzione.

Le differenze furono vistose anche nel comportamento tenuto verso quei preti che salivano in montagna (o chiedevano il permesso di farlo) per svolgere le funzioni di cappellani militari presso le formazioni partigiane. A Modena monsignor Boccoleri minacciava la sospensione a divinis ai preti che si recavano in montagna ma a Brescia monsignor Tredici nominò padre Luigi Rinaldini “curato di tutte le parrocchie della diocesi” con il permesso speciale di predicare, confessare, comunicare, celebrare la messa con o senza i sacri paramenti in qualunque ora e luogo della diocesi, autorizzandone in tal modo la presenza presso i partigiani. A Torino e a Genova uomini come monsignor Vincenzo Barale e don Francesco Repetto, segretari dei rispettivi arcivescovi, furono invece impegnati nelle reti di soccorso sfidando costantemente la rappresaglia.

Don Pasquino Borghi, figlio di contadini e consacrato sacerdote nel 1930, dieci anni dopo svolgeva il suo compito di parroco di Canolo (nei pressi di Correggio di Reggio Emilia) non esitando a manifestare il proprio dissenso alla guerra e al regime fascista. Così facendo attirò le ire dei gerarchi fascisti della zona. Dopo essere divenuto parroco a Corriano-Tapignola (Villa Minozzo), una zona che fin dall’ottobre 1943 vide nascere i primi nuclei partigiani, il 21 giugno del 1944 si ritrovò al centro di uno scontro tra le milizie fasciste e i partigiani nascosti nella parrocchia. Arrestato poche ore dopo, il sacerdote fu percosso brutalmente e, dopo aver subito varie torture, fu fucilato nella notte fra 29 e il 30 gennaio a Scandiano assieme ad altri ostaggi. Quella del massacro dimenticato dei religiosi durante la sanguinosa lotta per la liberazione è ancora oggi una pagina oscura e spesso dimenticata della storiografia contemporanea. Una pagina che sanguina ancora forte e che ricorda quanto fu difficile portare il messaggio di amore universale del cristianesimo in uno scenario di guerra in cui tutti erano contro tutti.

Il frate domenicano Giuseppe Girotti, nato ad Alba il 19 luglio 1905, proveniva da una famiglia di umili origini e nel 1923 pronunciò la professione religiosa ricevendo l’ordinazione sacerdotale il 3 agosto 1930. Laureato in teologia a Torino nel 1931, divenne insegnante presso il Seminario teologico domenicano di Torino accompagnando tale compito con un impegno costante in varie opere caritative. La sua libertà di pensiero iniziò però presto ad entrare in contrasto con le autorità fasciste. Nel 1939 le sue lezioni al seminario furono sospese ed egli fu trasferito nel convento di San Domenico. Gli eventi che seguirono l’8 settembre 1943, videro padre Girotti in sintonia con i resistenti al nazifascismo e pronto ad aiutare gli ebrei perseguitati. Il prelato trovò per loro nascondigli sicuri e documenti di identità falsi agendo in gran segreto per non coinvolgere in situazioni di rischio gli stessi superiori. Il suo operato caritativo fu però interrotto dalla delazione di una spia. Arrestato il 29 agosto 1944, il religioso fu imprigionato a Torino nelle Carceri Nuove e poi trasferito a Milano nel carcere di San Vittore. Infine venne trasferito nel campo di concentramento di Gries (Bolzano) per poi essere internato nel lager di Dachau con la matricola numero 113355. La sua colpa fu annotata sul registro d’ingresso: «Unterstutzung am Juden» («aiuto agli Ebrei»). La sorte di padre Giuseppe Girotti non fu mai del tutto chiarita. Per alcuni si trattò di morte naturale per altri di una vera e propria esecuzione tramite una iniezione venefica. Il suo corpo evitò lo strazio dell’incenerimento soltanto perché i forni crematori avevano cessato di funzionare da alcuni mesi per mancanza di combustibile. Il frate domenicano, morto a 40 anni, fu sepolto in una fossa comune sul Leitenberg, una collina che sorge a circa tre chilometri dal campo di Dachau. Il 14 febbraio 1995 al religioso fu conferita la medaglia alla memoria di “Giusto tra le nazioni” e il 26 aprile 2014 è stato proclamato beato dalla Chiesa.

Nicolò Cortese nacque il 7 marzo del 1907 a Cherso (Cres), capoluogo dell’omonima isola posizionata nel golfo del Quarnaro. Entrato nel 1920 nel Seminario dei francescani conventuali (Camposampiero) scelse di restare nell’ordine con il nome di fra Placido. Ordinato sacerdote il 6 giugno del 1930, svolse attività di apostolato nella basilica di Sant’Antonio, a Padova, e nel 1937 divenne direttore del periodico «Messaggero di Sant’Antonio». Molto attento alle opere di carità padre Cortese prestò molta attenzione agli internati nel campo di Chiesanuova, la maggior parte dei quali era slovena. Dopo l’armistizio, mentre con l’occupazione nazista si accentuarono le persecuzioni antiebraiche, padre Placido Cortese fu tra coloro che aiutarono gli sbandati, gli ebrei e i ricercati dal regime nazifascista ricorrendo spesso ad azioni clandestine. A causa della delazione di due infiltrati, il religioso venne arrestato l’8 ottobre del 1944. Trasportato in una cella della Gestapo a Trieste, fu sottoposto a tortura e morì durante la detenzione per le sevizie subite. Probabilmente il suo corpo venne cremato nel campo di detenzione della Risiera di San Sabba. Il 5 giugno 2017 il presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella gli ha conferito alla memoria la medaglia d’oro al merito civile.

I preti furono un facile bersaglio sia che aiutassero cristianamente i partigiani sia che facessero altrettanto per i fascisti e proprio per questa loro paritaria ubiquità sono probabilmente finiti nel dimenticatoio della storia.

Un sacrificio di sangue che trovò terreno fertile nell’amore fraterno sacerdotale e che, nel giorno in cui l’Italia ricorda il sacrificio dei tanti partigiani caduti nel nome della liberazione, dovrebbe essere rispolverato dai libri conservati negli scaffali, Per onorare al meglio uomini giustiziati sommariamente e morti due volte: per la libertà e la salvezza dei loro gregge e per la storia che li ha dimenticati.

di Generoso D’Agnese