Capita che in alcune giornate storte un brano musicale inaspettatamente trasmesso in radio sia in grado di trasformare l’oppressione in allegria. Capita anche che una vita apparentemente grigia per tanti motivi diventi piena di colore grazie alla scoperta e alla passione per le note. Capita poi di leggere notizie che raccontano di persone uscite dal coma grazie al costante sottofondo di canzoni che hanno rivestito il ruolo di colonna sonora prima del dramma. È il magico, quasi miracoloso potere della musica, capace di unire, risollevare, confortare contro ogni colpo basso della vita. Da questi presupposti è nato il progetto “La rete delle piccole orchestre dei popoli”, elaborato dalla fondazione Casa dello spirito e delle arti — ente no profit fondato su valori cristiani e del dialogo interreligioso nel segno della dignità dell’uomo, soprattutto quello più fragile — con lo scopo di utilizzare il linguaggio universale e affratellante della musica per evidenziare le diversità ma al contempo le similitudini tra cinque Paesi: Argentina, Repubblica Democratica del Congo, Papua Nuova Guinea, Siria e Italia. Un insieme di voci e strumenti che si armonizzano per sottolineare come tale espressione artistica sia più forte dei pregiudizi, delle fratture etniche o sociali, di ogni tipo di divisione e conflitto, e che unisce popoli di lingua, religioni e culture differenti.
Così, grazie anche alla collaborazione dell’associazione onlus Francesco Realmonte, la Rete ha contribuito al sorgere di tanti laboratori in queste aree della Terra, includendo socialmente e valorizzando talenti altrimenti dispersi, formando ed educando giovanissimi alla cultura dell’armonia. Un programma che vuole essere essenzialmente una proposta concreta alla sfida urgente per un sostegno a bambini e giovani che vivono situazioni di fragilità socio-economica — vittime per esempio di migrazione forzata, violenze, abbandoni — incontrando ostacoli nella loro traiettoria formativa e che per questi motivi abbandonano precocemente la scuola. Su queste basi si cerca così di rafforzare la resilienza in ambito educativo attraverso un percorso musicale che potenzi la capacità di far fronte alle difficoltà scolastiche e formative, per strappare bambini e ragazzi dall’esclusione e dall’emarginazione che impediscono il fiorire di talenti e capacità.
La strada seguita è quella indicata da Papa Francesco nel messaggio per il lancio del patto educativo del settembre 2019 — «C’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna» — e, soprattutto, nell’enciclica Fratelli tutti dalla quale i cinque laboratori estrapoleranno un unico brano partendo da due passi del documento pontificio: «Senza dubbio si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica le mie parole suoneranno come fantasie […] è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità» (127); e «ho esortato i popoli originari a custodire le loro radici e le loro culture ancestrali, ma ho voluto precisare che non era mia intenzione proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato» […] Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni “imposizione culturale”. Un’unica “orchestra di orchestre”, quindi, per dare vita a un video-concerto che racconti ciascuna realtà, eseguendo insieme la preghiera del Pontefice sulle note di un’armonia comune che tesse quella bandiera di fratellanza per testimoniare a tutto il mondo che si può davvero essere “fratelli tutti”. In ciascun Paese coinvolto, infatti, verrà organizzata una rappresentazione con la presenza del pubblico, nell’ambito della quale le orchestre eseguiranno un unico tema, accompagnando la lettura, fatta da persone del luogo, della “Preghiera al Creatore” dell’enciclica. Un solista, poi, suonerà uno strumento caratteristico dello Stato partecipante dando vita a momenti di improvvisazione melodica.
L’entusiasmo per l’iniziativa si legge sui volti dei bambini e ragazzi della scuola di musica di Nebek, 80 chilometri a nord di Damasco — dove si trova la comunità monastica al-Khalil di Deir Mar Musa fondata da padre Paolo Dall’Oglio nel 1991 con scopi umanitari — sorta con il fine di scoprire le inclinazioni artistiche dei piccoli e soprattutto contribuire a creare attraverso la musica coesione ed armonia tra le famiglie cristiane e islamiche. Si esprime anche nella gioia dell’orchestra “Les rossignols” (gli usignoli) della parrocchia di San Lorenzo, periferia di Kananga, nella Repubblica Democratica del Congo, nata per favorire il reinserimento sociale dei minori abbandonati e in conflitto con la legge, le cui voci risuonano nelle chiese della metropoli.
Anche la patria di Papa Francesco è rappresentata dal coro del Club Atlético Virgen Inmaculada (Cavi) che fa parte della pastorale dei sacerdoti impegnati nelle villas di Buenos Aires. Qui, nel quartiere di Villa Soldati, tra chitarre, viole e flauti, bambini e ragazzi dimenticano un triste passato di violenze e tossicodipendenza. A Vanimo, in Papua Nuova Guinea, sono i missionari della famiglia religiosa del Verbo incarnato a far conoscere il messaggio evangelico di salvezza con il progetto “Regina del paradiso”, opera ispirata al sistema venezuelano di cori e orchestre per assicurare una crescita sociale ed umanistica dei giovani. Il Bel Paese fa la sua parte con il progetto “Sanitansamble”, ideato nel rione Sanità di Napoli e ispirato alla tradizione dei quattro antichi conservatori cittadini che sin dal Cinquecento assolvevano al compito etico-sociale di accogliere i trovatelli e i piccoli disagiati per offrire loro una formazione musicale di alto livello. Anche oggi accoglie e trasforma le vite di tanti giovanissimi, un vero patrimonio di umanità che merita sostegno, fiducia e valorizzazione.
La speranza di un’esistenza migliore corre sulle note di uno spartito, si potrebbe dire, che librandosi nell’aria insegnano a non vergognarsi delle ferite, anzi a lottare e rinascere malgrado le ferite e i dolori: è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi, cui il progetto s’ispira, secondo la quale i cocci del vasellame possono essere ricomposti e uniti da una colata d’oro che impreziosisce il prodotto. Con questa tecnica, sorprendentemente, si creano vere e proprie opere d’arte, sempre diverse, ognuna con la propria trama da raccontare grazie all’unicità delle crepe che si creano quando l’oggetto si rompe: come tante piccole ferite presenti sul corpo ma ormai cicatrizzate da quella fantastica medicina composta di sette note.
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