· Città del Vaticano ·

La famiglia nell’arte
L’opera della fotografa Vanessa Beecroft

A braccia aperte
per includere

Vanessa Beecroft «Holy Family» (2006, fotografia collezione privata)
15 aprile 2021

La fede è questione di relazioni. Così possiamo sintetizzare la ricchezza dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, indirizzata ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici, sull’amore nella famiglia. Già all’interno di questo “titolo” s’intravedono infinite relazioni, snodi fondamentale per la vita di fede. Un’altra affermazione in questo orizzonte diventa profetica: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita» (297).

Parole profondissime che conducono a una visione di apertura allo Spirito. Un messaggio chiaro. Una sfida. Annunciare lo specifico del matrimonio cristiano e allo stesso tempo aprire le braccia per integrare e non escludere: aprire le braccia alle famiglie delle persone migranti, spesso invisibili, alla realtà dei matrimoni misti, agli sposi cristiani di altra appartenenza, famiglie che la Chiesa certo non abbandona. Il Magistero apre scrigni di ricchezza. Lo scrigno della conoscenza del disegno di Dio sulla famiglia ha riempito il cuore di tante coppie e di chi lavora per sostenerla e svilupparla. Lo scrigno della misericordia mostra il volto accogliente della Chiesa. Il volto di chi sa comprendere e aiuta chi è stato abbandonato e cresce i figli in solitudine, chi aspetta un figlio inatteso, chi è fuggito dalla famiglia a causa di violenza fisica, psicologica.

Questa premessa è necessaria per dare continuità alla nostra riflessione sulla Sacra famiglia, mediata dal potere comunicativo dell’arte. Lo facciamo questa volta con l’aiuto di una donna, artista “visionaria”. Una fotografa di fama internazionale, Vanessa Beecroft. Inconfondibile il suo stile, la sua identità. I suoi tableau vivant progettati con maniacale attenzione ai dettagli, sono richiestissimi da musei, fondazioni, gallerie, collezionisti. Un progetto ci colpisce particolarmente, iniziato nel 2005, nel corso di un viaggio in Sudan dove ha ritratto persone comuni, del luogo (rifiutando modelle o modelli professionisti) interpretando temi cari alla propria poetica, come la natività, il matrimonio, la famiglia. Gigantesche fotografie, scatti volutamente provocatori ma così puri, eleganti, di grande forza estetica che coinvolgono lo spettatore in una nuova visione delle cose. Vanessa Beecroft è italiana di nascita, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera, le sue fotografie fanno il giro del mondo, esposte nelle più grandi gallerie. L’opera che, a parer nostro, meglio incarna il tema delle relazioni familiari da integrare come Chiesa e come comunità umana, è la splendida fotografia dal titolo VBSS.010.M (“Holy Family”) serie South Sudan del 2006. Immagine che presenta la tipica iconografia cristiana con san Giuseppe, il Bambino e la Madonna. Dal punto di vista tecnico, la foto presenta grande equilibrio formale, una vera e propria architettura, come nello stile della Beecroft. La composizione non lascia indifferenti. I colori giocano un ruolo essenziale nella resa della scena. La Vergine Maria, bianca e bionda, con in mano dei gigli, san Giuseppe e il Bambino di pelle nera. Figure imponenti, ma rassicuranti. Il bambino dorme tra le braccia del padre, un padre che ci fissa, come a ricordarci che ama la sua famiglia, che si prende cura del figlio, che partecipa pienamente nel suo ruolo alla relazione d’amore. Il bambino sfiora con la manina il velo della madre, l’unico delicato punto di contatto che lega i tre protagonisti.

L’artista, che ha scattato la foto nella sua visita alla diocesi di Rumbel (Sudan), usando, su autorizzazione del vescovo, la Cattedrale come set fotografico, vuole interrogarci su quanto sia ancora viva e attiva la problematica della supremazia etnica. Raffigurando una famiglia “mista”, l’opera diviene simbolo dell’unione dei popoli. Holy Family della Beecroft apre a infinite domande di natura etica, antropologica, teologica ma rende straordinariamente visibile quell’espressione “integrare tutti” così dolce, così coraggiosa, così evangelica. Gli abiti dei protagonisti sono blu e rosa, evidenziati in modo netto, ci dicono che il maschile e il femminile danno vita alla coppia. I piedi di Giuseppe sono nudi. Si è tolto i sandali perché si trova al cospetto di Dio, come Mosè? Oppure non li calza perché non li ha? La Madonna, invece, ha i piedi calzati in oro. I sandali sono un simbolo importante. Nella Bibbia è Dio stesso che fornisce i sandali a chi deve affrontare un’impresa, perché sia pronto e forte nell’affrontarla. L’oro è inossidabile, non si deteriora, resta integro. Come la cintura di Maria: cingersi di forza, di fede è una caratteristica delle figure bibliche da ammirare per il loro coraggio. A Prato esiste una commovente reliquia della tradizione cristiana, la Sacra Cintola, considerata la cintura della Madonna, una striscia di lana finissima broccata in oro, la tradizione vuole che sia stata donata dalla Vergine all’apostolo incredulo Tommaso come segno del suo legame con l’umanità. La cinta così visibile e luminosa nella Madonna della Beecroft sembra proprio ribadire questo legame forte tra il popolo di Dio il culto e la venerazione mariana.

Osserviamo Giuseppe e Maria: appaiono spauriti. Considerando l’età del bimbo, ipotizziamo con una certa sicurezza che sono pronti a fuggire per l’Egitto perché il loro piccolo è minacciato di morte. Sembra che guardino con paura noi osservatori: possono fidarsi? Noi chi siamo? Siamo dalla parte di chi li cerca per uccidere? Siamo coloro che cacciano i migranti? O quelli che approfittano della loro situazione per arricchirsi, per sfruttarli, per renderli schiavi? Giuseppe assomiglia a quegli uomini che arrivano alle nostre coste. Maria assomiglia a quelle donne dell’est Europa che lasciano le loro case, i loro figli, per lavorare al servizio dei ricchi o che finiscono in situazioni peggiori. L’opera ci impone di riflettere sulla realtà delle famiglie migranti. Sulla condizione dei loro figli, sul diritto di essere accolti, di avere un’abitazione, di partecipare alla vita pubblica. L’Amoris laetitia invita a un’azione della Chiesa a favore delle famiglie immigrate e anche ai membri delle famiglie che rimangono nel loro Paese (46). Un forte invito a integrare, a includere, a far partecipare.

L’unica forza di Maria e Giuseppe è il bambino. Giunonico, come nel Tondo Doni, per trasmettere l’idea della forza, della vita. Le famiglie dei migranti sono ricche di figli, aperte alla vita, per cultura, per fede, per appartenenza. Ci assicurano un futuro. Maria guarda verso l’alto, come se cercasse anche in questo momento di essere rassicurata dall’Arcangelo Gabriele che solo nove mesi prima le aveva parlato con dolcezza, mettendo fine alle sue paure prima che esse nascessero. Una visione nuova della sacra Famiglia, l’arte di Vanessa Beecroft sente il dovere morale di far nascere nuove riflessioni. In altre sue potenti opere la vediamo ritratta come una Madonna nera, un Gesù crocifisso nero, una Madonna con due bambini neri al seno. In quest’ultima foto che citiamo, i bimbi sono due orfani sudanesi, Maria è interpretata dall’artista stessa. Accoglie, è Madre di tutti, protegge chi non ha la mamma biologica. Vanessa Beecroft non ha solo prestato il suo volto e il suo corpo per lo scatto, si è fatta partecipe dell’idea di esser madre di chi non ha madre: ha cercato — senza riuscirvi — di adottare i due bimbi. Così come Holy Family è stata donata per raccogliere fondi a favore della Fondazione Hospice Seràgnoli Onlus, un collezionismo etico, il dono come opposto del possesso. Foto che sono il risultato del suo viaggiare, del suo impegno in ospedali e orfanotrofi. Foto che non offendono nessuno, così armoniche e cariche di suggestioni che vengono paragonate alle pitture rinascimentali, partecipate dalla grande umanità e credibilità di chi le ha scattate.

di Massimiliano Ferragina
e Luca Pasquale