Religio - In cammino sulle vie del mondo
Con i suoi 43 anni il comboniano Christian Carlassare
è diventato il più giovane vescovo italiano
Guiderà la diocesi sudsudanese di Rumbek
La speranza del Sud Sudan ha l’identikit di un quarantatreenne originario di Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza. Il Paese dell’Africa orientale fiaccato da violenze senza fine, una povertà galoppante e da eterni scontri politici e tribali, conosce bene quest’uomo arrivato dalla profonda terra veneta appena poco dopo l’ordinazione sacerdotale. E Christian Carlassare ha imparato a memoria ogni piccolo dettaglio, anche il più nascosto e apparentemente insignificante, di un popolo che ha cominciato ad amare fin da quando ha iniziato a studiare la lingua nuer. Una fotografia, forse più di altre, rende visibile e concreta la forte intensità della sua amicizia d’apostolo: il missionario comboniano è ritratto, sorridente, in mezzo a uomini, donne e tanti bambini. Sono la sua gente, la sua famiglia. Le case basse coperte di paglia del villaggio, che si intravedono sullo sfondo interrotte da una fila di panni messa ad asciugare al sole, raccontano di una quotidianità che le scarpe di padre Christian ormai conoscono fin troppo bene.
Non stupisce più di tanto, allora, che lo sguardo di Papa Francesco si sia posato su di lui nel momento di scegliere chi dovesse tornare a guidare la diocesi di Rumbek, ormai vacante da un decennio. Ancora dolorante per le ferite riportate durante la seconda guerra civile sudanese combattuta dal 1983 al 2005, il territorio povero e devastato di Rumbek non spaventa certo il neo monsignore. Che non si impaurisce nemmeno per una responsabilità caricata sulle sue spalle da una notizia che ha fatto il giro del mondo: essere diventato uno dei vescovi più giovani di tutto il pianeta e quello italiano più giovane in assoluto. «La Chiesa mi ha dato un segno di grande fiducia», risponde a chi gli chiede in che chiave leggere la sua nomina per poi aggiungere, con voce ferma e determinata, che «è proprio la sua giovane età a spingerlo a donare la sua vita fin dall’inizio, come fecero Davide, Samuele e tanti santi che impegnarono la propria esistenza per Dio». Ciò che padre Christian ha compreso, prima come vicario e poi come parroco titolare di una parrocchia dello Stato di Jonglei e successivamente come promotore per le vocazioni, è che in Sud Sudan per fare avverare i buoni desideri occorrono fatica, impegno, pazienza e, tante volte, anche dolore. Ma certo non ci si può tirare indietro. «Vedo una grande missione per la Chiesa: riunire insieme tutti i gruppi tribali che finora sono stati divisi dalla guerra. Queste pecore smarrite devono essere aiutate a riconoscersi tutte figlie di Dio, tutte figlie dello stesso Paese, andando oltre i propri clan». Il grande desiderio di padre Carlassare, finora vicario generale di Malakal, riguarda naturalmente anche la sua nuova diocesi che, ora più che mai, ha bisogno di evangelizzazione. «C’è la necessità — spiega — di mettere al centro Cristo nel Vangelo che si proclama, in modo che la gente possa fare esperienza di Lui, non di una Chiesa che sia solo un organismo umanitario. La Chiesa deve essere una comunità che crede e che risolve i problemi in modo diverso dalle altre organizzazioni perché al centro c’è Gesù».
Le strade da percorrere per raggiungere l’obiettivo il vescovo eletto le vede distintamente davanti ai suoi occhi: sono la catechesi, la preghiera e l’azione delle piccole comunità cristiane. Più una buona dose di attenzione alle questioni sociali, «senza le quali — dice — l’evangelizzazione non esiste. Penso all’educazione, alla scuola, alla cura della salute, ai progetti di sviluppo umano. Ma la proclamazione del Vangelo deve essere messa al centro». Non sarà un’impresa facile. Il territorio della diocesi di Rumbek ha quasi la stessa estensione della Svizzera, conta sedici parrocchie, una decina di preti diocesani, un gruppo di fidei donum provenienti dalla Corea del Sud e una serie di istituti religiosi, come i gesuiti o i salesiani. Carlassare lo considera un contesto propizio per esercitare il suo “ministero di comunione”: «È certamente il ruolo del vescovo. Esso non può nulla senza i suoi ministri. Il lavoro che è stato svolto prima di me, al quale ora mi aggiungo, va portato avanti con tutti. Ho la certezza che non sarò solo: sarò accompagnato dalla presenza del Signore e da tanti uomini e donne di Dio impegnati a far fiorire la Chiesa in un ambiente così difficile». Il vescovo italiano più giovane del mondo sa di poter contare sull’appoggio del governo che crede nella Chiesa ma sa altrettanto bene che le prossime sfide future si giocheranno in campo ecumenico e interreligioso. «Le Chiese protestanti soprattutto quella episcopale — argomenta — sono molto strutturate nelle nostre zone: per questo dobbiamo lavorare con una prospettiva inclusiva. E poi dobbiamo tenere presente l’apertura verso i nostri fratelli musulmani, anche se la loro presenza è minima. Siamo una Chiesa missionaria pronta a entrare in contatto con tutti».
Secondo i dati più recenti, la presenza musulmana nel Paese si attesta all’8 per cento, una piccola minoranza composta soprattutto da stranieri provenienti dal Sudan o da altre nazioni vicine. La popolazione del Sud Sudan non è abituata a confrontarsi con l’islam, deve ancora intraprendere un vero cammino di dialogo. Nonostante il contesto, la convinzione profonda del vescovo eletto di Rumbek è che la Chiesa dovrà dare nuovo vigore allo slancio interreligioso: «Dopo l’indipendenza, le relazioni tra cristiani e musulmani si sono rasserenate ma, nello stesso tempo, si sono molto raffreddate. Oggi la Chiesa deve promuovere il dialogo più di quanto lo abbia fatto fino ad ora: su questo fronte, il nostro impegno è ancora molto timido». Ecco perché, allora, le sue prime azioni di governo saranno improntate su carità e misericordia. Dopo dieci anni di sede vacante, dovrà anche rimettere in piedi alcune strutture della diocesi necessarie per la collaborazione ministeriale. «Altre priorità — aggiunge — saranno la pastorale e l’educazione: la Chiesa della mia diocesi è composta soprattutto da giovani e bisogna lavorare per loro affinché si possa ricostruire la speranza. Certamente, però, non dimenticherò gli anziani. Mi sforzerò di riconquistarli cercando di fargli capire che il Vangelo è valido per essi e per la cultura delle loro tribù».
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