· Città del Vaticano ·

STORIE DI PERIFERIA
Il Gauchito Gil, “Mama Antula” e i tanti altri che insegnano il perdono

Santi dei suburbi
a cui votarsi

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08 aprile 2021

I giorni della grande pandemia, quando la vita è più pericolante, sono anche giorni di grande perdono. Torti di lunga data che oppongono gli uni agli altri si sono sciolti, lontananze che sembravano incolmabili sono sparite, certe separazioni si sono mitigate e talune divisioni sono diventate meno intransigenti. La gente dei suburbi, quella che vive nei quartieri popolari, nelle villas miseria, nelle bidonville urbane, si rivolge ai santi nostrani, quelli che la religiosità popolare invoca nelle calamità quotidiane. Il Gauchito Gil è uno di questi e le periferie urbane la sua casa, disseminate come sono di statuette vestite dagli inconfondibili colori rossi e neri, quelli della sua fazione politica nella guerra civile che insanguinò la provincia argentina di Corrientes a metà dell’Ottocento. Lì, quando la pietà per i vinti era una moneta poco conosciuta, il soldato semplice Antonio Plutarco Cruz Mamerto Gil Núñez si rifiutò di sparare sui propri fratelli e la cosa gli costò un disonorevole arresto e la condanna a morte per diserzione. Lui in cambio perdonò chi doveva eseguire la sentenza, e predisse la guarigione di un figlio malato al suo carnefice. Bastò perché negli animi esacerbati dei contemporanei, e ancor di più in quelli dei loro discendenti, il fante Gil Núñez crescesse in considerazione. In poco tempo la sua fama si diffuse e divenne un “santo senza aureola”, di cui non ci sono neppure tracce storiche incontrovertibili. Ma tant’è, il rigore della storia a volte passa in secondo piano di fronte alla sottolineatura di qualità che un popolo considera degne di nota in un determinato momento della propria storia nazionale. Il perdono, appunto, una virtù squisitamente cristiana, con il seguito di bontà, tolleranza e amicizia verso il nemico che l’accompagna.

Al perdono dei nemici si era certamente votata anima e corpo anche una donna di un piccolo paese del nord argentino che assisteva i padri della Compagnia di Gesù nella provincia di Santiago dell’Estero. I gesuiti vennero poi cacciati dai possedimenti della corona spagnola e ripararono in Europa da dove erano venuti. Nel comprensibile sbandamento degli animi, fu lei, María Antonia de Paz y Figueroa, figlia di un blasonato militare al servizio del re, ad assumere l’eredità degli espulsi, di cui gli esercizi spirituali di San Ignazio erano uno dei momenti più significativi. “Mama Antula”, come venne poi popolarmente chiamata, percorse grandi distanze a piedi nudi vivendo di elemosine e spargendo in lungo e in largo il verbo ignaziano concentrato nella pratica dei ritiri spirituali per poi intraprendere il cammino verso Buenos Aires. Tardò due mesi ad arrivarvi e l’accoglienza del vescovo e del governatore, le due massime autorità dell’epoca, non fu quella sperata. Ma l’ostinazione, la fede in Dio e nella bontà degli esercizi ignaziani finirono per perforare il muro di diffidenza sia del potere politico che di quello clericale. In pochi anni decine di migliaia di argentini della capitale, chiamati porteños, trassero benefici spirituali copiosi dalla pratica dei ritiri promossi da Mama Antula, che non solo divenne beata e in odore di santità, ma che a sua volta è stata un vero e proprio crocevia di santi.

A lei si deve il grande auge della devozione a san Gaetano, divenuto per gli argentini il dispensatore del pane e del lavoro, a lei si deve il successivo exploit di san Espedito, quello delle cause veloci. A lei si deve soprattutto la notorietà di José Gabriel del Rosario Brochero, per tutti il cura gaucho che dalle montagne di Cordova è arrivato a popolare i suburbi urbani, le villas e le baraccopoli dell’Argentina. Il villero Benitez, per esempio, assicura che non si perdeva una cavalcata per onorarne la memoria. Il silenzio, lo scalpiccio sulle pietre dei sentieri, le soste, le notti fredde e stellate, il vento sulle radure. Quattro giorni così, per le piste del prete gaucho, cavalieri, cavalli e nidi di condor sulle creste che dalle alte cime portano alla valle di Traslasierra e viceversa. Tutto per rendere omaggio a un prete contadino con addosso l’odore delle pecore nella cui storia di fatica, silenzio e sacrificio il Papa argentino ha visto un modello di sacerdote, tanto da proclamarlo santo1.

L’iconografia dei santi maschili prediletti dagli abitanti dei suburbi annovera anche un don Bosco dal sorriso appena abbozzato e dalla lunga veste nera generalmente circondato, nelle illustrazioni più sofisticate, da qualche giovane di modesta condizione. Di lui, del santo torinese di fine secolo xix , nei quartieri popolari dell’Argentina si apprezza l’azione a favore di giovani, quella che l’ha portato a prendersi cura di generazioni di esclusi, cui ha dato casa, formazione professionale, educazione formale. Cose, tutte, che ispirano l’azione del movimento dei curas villeros, i sacerdoti che vivono nelle villas di Buenos Aires e delle altre città dell’Argentina2.

Santi di seconda linea, ma pur sempre con il loro seguito di umili, san Giorgio, il soldato romano posto a protezione della cavalleria dell’esercito argentino ha nei quartieri popolari un cospicuo seguito di devoti. Non è da meno Ceferino Namuncurá, l’indio mapuche di cui Pio xii approvò la causa di beatificazione, che Benedetto xvi fece beato. Santa Rita, nativa della città italiana di Cascia, è venerata nella provincia argentina di Salta, dove è conservata una delle sue reliquie, con un pied-à-terre a Buenos Aires nella villa che porta il suo nome. Nella religiosità villera un posto indiscutibile lo occupa anche El señor Santiago Matamoros l’uccisore di musulmani, ritratto a cavallo con il saraceno calpestato dagli zoccoli e l’altro Giacomo, l’apostolo figlio di Zebedeo, divenuto patrono della provincia di Santiago dell’Estero che alle villas argentine dà molti immigrati. Seconda linea meritata per san Biagio, il protettore dal mal di gola, e san Pantaleone, una sorta di san Gennaro argentino il cui sangue si liquefà ogni 27 di luglio da cent’anni a questa parte davanti agli occhi degli abitanti del popoloso quartiere di Mataderos. Testimone d’eccezione anche l’attuale Papa che in una lettera ha ricordato con nostalgia i tempi in cui, come arcivescovo della capitale argentina, visitava personalmente la parrocchia dedicata al santo medico di Nicomedia3.

Monsignor Romero è l’ultimo arrivato, balzato nelle villas direttamente da El Salvador dov’è stato canonizzato da Papa Francesco nel maggio del 2015 dopo una travagliata lista d’attesa dove non sono mancate trame avverse e opposizioni. A lui, al martire del Paese più martirizzato dell’America Latina, sono dedicate scuole, mense popolari, e i murales dipinti sulle facciate delle pareti delle villas.

Il 2021 è anche l’anno del francescano Mamerto de la Ascensión Esquiú, che alla fine del xix secolo, già vescovo di Cordoba, si oppose come poté al matrimonio e al registro civili, alla secolarizzazione dei cimiteri e alla laicizzazione dell’insegnamento. La sua beatificazione, già annunciata per il 13 marzo nella provincia Catamarca dov’è nato, è stata posposta a data da destinarsi.

di Alver Metalli


1 Il sacerdote Brochero è stato canonizzato il 16 ottobre 2016, in una celebrazione presieduta dallo stesso Francesco. Così, Brochero è diventato la seconda persona nata in Argentina e venerata come santo dalla Chiesa cattolica, dopo sant’Héctor Valdivielso Sáez.

2 Il movimento nacque in Argentina alla fine degli anni ’60 ed è formato di sacerdoti diocesani — oggi 22 — che vivono stabilmente in villas miseria e baraccopoli tanto nelle città come nelle periferie urbane. Papa Francesco, quando era arcivescovo di Buenos Aires, creò il Vicariato delle Villas de Emergencia.

3 «Tornavo a casa spiritualmente rafforzato dalla testimonianza di fede. Non è immaginabile tutto il bene che ho ricevuto» ha scritto Papa Francesco ai pellegrini radunati nel santuario.