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Pèsach e Pasqua

Libertà e responsabilità

 Libertà e responsabilità Libertà e responsabilità  QUO-072
30 marzo 2021

La grande lezione del racconto biblico della liberazione e dell’esodo del popolo d’Israele dall’Egitto verte sul concetto di libertà. C’è un versetto nella Bibbia che lo definisce chiaramente. Alla fine dei suoi giorni, Mosè chiama la generazione più giovane a rinnovare l’alleanza con Dio stabilita dagli antenati. Come narra il libro del Deuteronomio, i suoi ascoltatori erano le persone che avrebbero dovuto sconfiggere Canaan, stabilirsi lì e costruirvi una società dove attuare le leggi e i comandi ricevuti nel deserto. È una generazione nata in libertà che, diversamente dai genitori, non è stata traumatizzata dalla schiavitù. Mosè li ammonisce ad adempiere ai precetti dati loro da Dio, proclamando in modo molto significativo che sono diventati il popolo del Solo e Unico Dio, che è fedele all’alleanza con quanti Lo amano e osservano i Suoi comandamenti (cfr. Deuteronomio, 27, 9).

Libertà non significa soltanto abbandonare la condizione di schiavitù. Ciò è necessario, ma non basta per un’esistenza pienamente degna. Deve esserci anche l’impegno verso valori trascendenti, che impediscono a chi è stato schiavo di rimanere schiavo delle proprie passioni e dell’egoismo. Tali valori comprendono il servire Dio prendendosi cura del creato e rispettando e amando gli altri esseri umani con i quali si condivide l’esistenza. Inoltre, il popolo dell’alleanza non deve idolatrare le proiezioni deificate degli istinti umani o consacrarsi ai modi di dittatori umani deificati come faraoni e cesari, oppure i despoti dello scorso secolo o presenti. È questa la sfida posta da Dio a quanti sono stati liberati dal giogo egizio.

Tra gli altri comandamenti, il capitolo 25 del Levitico presenta leggi su come risorse e beni dovevano essere distribuiti nell’antica Israele. Il possesso del terreno ancestrale della famiglia doveva essere mantenuto. Se qualcuno cadeva in povertà ed era costretto a servire altri per vivere, i suoi parenti e amici dovevano salvarlo da tale situazione. Il fondamento di tutte queste leggi è contenuto nell’ultimo versetto del capitolo: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio». La Bibbia narra che dopo aver ricevuto i comandamenti sul monte Sinai, Mosè ritornò dal suo popolo, scoprendo che era stato fabbricato un vitello d’oro da venerare. La mente delle persone era ancora incatenata a pensieri da schiavi. Erano trascorsi appena quaranta giorni da quando Dio si era rivelato loro presso il monte Sinai, in mezzo a straordinarie manifestazioni della natura. Con il forte tuono dello shofar ad annunciare la maestosa presenza del Creatore, i comandamenti erano stati donati al popolo. Tuttavia, il ritorno a un’automatica servitù attraverso il vitello d’oro ci mostra la fragilità della mente e dello spirito umani. Ciò che in un dato momento è stato maestoso e trasformante può rapidamente svanire. Ancora oggi, dopo tanti processi di liberazione nella storia umana, in molti luoghi la schiavitù degli uomini continua a lacerare le persone.

Il profeta Elia, vissuto durante il regno del re d’Israele Achab ( viii secolo prima dell’era volgare), pose questa arguta domanda alle persone raccolte intorno a lui sul monte Carmelo: «Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!» ( 1 Re, 18, 21). Questo versetto ritrae le oscillazioni e i tentennamenti del comportamento umano. Ci sono volte in cui i principi della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza vengono esaltati, altre in cui sono calpestati nella maniera più odiosa. La stessa Europa che esaltò quei valori nel xviii secolo al tempo dell’Illuminismo, li ha ignorati e ha cercato di cancellarli nel xx secolo. Questo spiega perché la Bibbia insiste sulla necessità di ricordare tutti i giorni della vita la storia dell’uscita dall’Egitto (cfr. Deuteronomio, 16, 3).

Il poeta argentino Arturo Capdevila comprese l’importanza della Pasqua sia per gli ebrei sia per i cristiani. Il suo libro Dios otra vez (“Dio un’altra volta”), del 1965, include una poesia intitolata Canto al sitial de Elías (“Canto al seggio di Elia”), nella quale il poeta descrive una cupa cena di Pèsach a casa di un amico ebreo mentre l’Europa è coinvolta nella Shoah: «Il mondo che credeva nel Bene è spirato, / e di Amore e Giustizia aveva sete! / Segreti dell’Abisso […] Sion è senza valore. / E anche Betlemme». E alla fine il poeta mette le seguenti parole in bocca al profeta Elia: «La fedele speranza avrà il suo banchetto! / Quasi lì. La mia Pasqua verrà: / mia chiara Pasqua di Gerusalemme. / Il vento passerà cantando amori / sopra le acque di Gennesaret. / L’intera Terra Santa in quei giorni / sarà simile a un frutteto».

La speranza suscitata dal poeta ribadisce la profonda spiritualità comune di ebrei e cristiani. Egli desidera che il messaggio trimillenario ebreo di Pèsach e il messaggio bimillenario cristiano di Pasqua non vengano meno, malgrado i continui orrori e gli sbandamenti. Sono proprio quella speranza e quell’impegno che ebrei e cristiani accolgono anno dopo anno in questo tempo. Possiamo tutti noi scegliere il cammino che vuole Dio, e possa Dio benedire presto le nostre speranze comuni nel tempo presente!

di Abraham Skorka