Quando la penitenza
La madre Sincletica disse: «Per coloro che si avvicinano a Dio, all’inizio vi è lotta e grande fatica, ma poi gioia indicibile» (Sincletica 1). Se c’è un tempo per avvicinarsi a Dio questo è la Quaresima. A volte, però, la vediamo più come un tempo un po’ triste, in cui subiamo la penitenza più che come un’opportunità di riprendere in mano la propria vita, e di dirigerla verso l’unico Punto che possa illuminarla, renderla vivibile e darle un senso. Se, ad esempio, guardiamo solo alle restrizioni di questo periodo storico che stiamo vivendo, emergono solo la fatica e la disperazione, ma se lo vediamo come l’opportunità di vivere, le cose già cambiano. Tutto, all’inizio è «lotta e fatica» lacrime e stenti, dice Sincletica, anche e soprattutto quando ci «avviciniamo a Dio», ma se perseveriamo nel cammino tutto acquista un valore nuovo e la fatica si trasforma in «gioia indicibile». La consapevolezza del nostro peccato, il desiderio di risorgere, l’alzare lo sguardo e non vedere un Giudice inflessibile, ma un Padre misericordioso, trasformano la nostra esistenza. Perché tutto ciò è destinato alla gioia, a una «gioia indicibile» e già qui in questo nostro andare incerto della vita. Perché, «avvicinarsi a Dio», richiede rinuncia, cambiamenti di prospettive, adesione a valori che sembrano ormai desueti. Il digiuno, la preghiera, l’ascesi — di cui viveva questa monaca del
di Maria Luciana Tartaglia osb
Ateneo pontificio di Sant’Anselmo