· Città del Vaticano ·

Lo spreco che non vediamo

 Lo spreco che non vediamo  QUO-065
22 marzo 2021

Chissà se a far cambiare abitudine a chi beve acqua minerale basterà sapere che per produrre una bottiglia di plastica da 1,5 litri occorrono quasi due di litri di acqua. Magari potrebbe servire aggiungere ulteriori dati su altri consumi che necessitano di un uso ingente di risorse idriche, come ad esempio che per produrre un chilo di verdura servono 336 litri di acqua, per uno di legumi essiccati 4.615, per uno di carne di maiale 6.299 e ben 15.139 per produrre un chilo di carne di manzo. Il tutto condito, è il caso di dire, con l’informazione più importante e allarmante di tutte: l’acqua non è un bene infinito; anzi, le risorse idriche a disposizione si stanno assottigliando, oltre che per i cambiamenti climatici, anche a causa dell’uso sconsiderato che se ne fa, soprattutto nei paesi industrializzati.

A lanciare l’allarme sui costi ambientali dell’“acqua nascosta”, cioè lo spreco che non vediamo e di cui non siamo consapevoli ma che si cela dietro a tutte le produzioni anche di generi alimentari, è stata nei giorni scorsi la Fondazione Barilla attraverso la pubblicazione dei risultati di una ricerca che prova a stabilire il peso dell’“impronta idrica” — ovvero il peso ambientale del consumo personale di acqua — di ogni italiano in un giorno. E si tratta di un’impronta piuttosto alta: intorno ai 6.300 litri, il 30% più della Francia, anche se il 6 meno della Spagna e il 20 rispetto agli Usa.

In un tale contesto il rischio è che in un futuro prossimo l’Italia — ma con essa anche altri paesi — potrebbero dover far fronte a una limitata disponibilità di risorse. Del resto il bacino del Mediterraneo, dove il prelievo di acqua dolce per uso agricolo è pari al 50% del totale, è indicato come una delle regioni mondiali in cui si verificherà una consistente riduzione delle risorse idriche.

Eppure qualcosa si può fare. Adottando una dieta sostenibile, ogni persona potrebbe risparmiare circa 4.000 litri di “acqua nascosta” al giorno. Basterebbe avere la consapevolezza del peso di ciascun cibo sull’“impronta idrica”, un indicatore che comprende sia l’uso diretto dell’acqua, come quello domestico (che in Italia è di circa 220 litri pro capite al giorno rispetto a una media europea di 165), sia indiretto, cioè quella necessaria per produrre beni e servizi. A tal fine, lo studio indica anche tre regole da seguire per rivedere la dieta, senza rinunciare al piacere del cibo.

La prima invita a un più ampio consumo di verdura, legumi, frutta e cereali integrali. E questo perché in media la quantità di acqua necessaria per produrre un chilo di carne bovina è quattro volte quella utilizzata per un chilo di pollame, più di sei volte quella per un chilo di pesce, nove volte quella per un chilo di cereali e quarantacinque volte quella necessaria per un chilo di verdure. In sostanza, l’adozione di una dieta sostenibile consentirebbe di risparmiare fino a 2.000 litri di acqua per singolo pasto rispetto a un menu a base di carne.

La seconda regola riguarda gli sprechi alimentari. Ogni volta che sprechiamo cibo dovremmo essere consapevoli che stiamo buttando via anche tutta l’acqua servita per produrlo. L’ultima è un invito a bere molta acqua, preferendo però, quando possibile, l’acqua di rubinetto a quella minerale che, come visto, ha una “impronta” notevole legata alle operazioni di imbottigliamento, imballaggio e trasporto.

Scegliere una dieta attenta all’ambiente avrebbe dunque un impatto positivo sulla disponibilità di acqua, visto che, a livello globale, secondo la Fao, l’agricoltura utilizza il 70% dei prelievi di acqua dolce disponibile per l’irrigazione e causa il 92% dell’impronta idrica dell’umanità. «Adottando una dieta sostenibile — ha spiegato Marta Antonelli, direttore della ricerca di Fondazione Barilla — l’impronta idrica dei Paesi dell’Ue potrebbe essere ridotta del 23%, mentre una dieta a base vegetale nutrizionalmente equivalente a una a base di proteine animali la ridurrebbe del 38%. Questo perché un pasto sostenibile richiede all’incirca 1.000 litri di acqua rispetto ai circa 3.000 di un menù ‘idrovoro’. Basterebbe bilanciare gli alimenti durante i pasti, limitando la frequenza degli ingredienti meno vantaggiosi per salute e ambiente a favore di quelli più sostenibili, per risparmiare quindi fino a 4.000 litri di acqua a persona al giorno ed essere parte di un cambiamento globale».

Per provarlo sul campo, è stato avviato il progetto Su-Eatable, che mira a promuovere l’adozione di menù sani e sostenibili a partire dalle mense aziendali e universitarie. A tal fine è stato anche predisposto un apposito ricettario. L’auspicio è che dalle mense possa presto arrivare anche sulle tavole delle famiglie.

di Gaetano Vallini