La bellezza
La messa domenicale al centro della vita comunitaria in questo momento così difficile ma anche come punto di (ri)partenza per quella solidarietà che si rende quanto mai necessaria, pure in una terra come la Valle d’Aosta fino a ieri solo sfiorata dalla crisi economica e oggi di fronte a una povertà crescente, con gli accessi alla mensa diocesana, tanto per fare un esempio, triplicati da alcuni mesi a questa parte. L’indicazione è contenuta nel messaggio per la Quaresima inviato ai 125.000 fedeli delle 93 parrocchie della Valle da monsignor Franco Lovignana, appena entrato nel decimo anno di servizio come vescovo alla sua Chiesa locale (ad Aosta è nato 64 anni fa e qui ha ricoperto altri incarichi pastorali, da rettore del seminario a canonico della collegiata di Sant’Orso).
L’invito del presule, rivolto soprattutto alle famiglie, è chiaro: «Partecipare ogni domenica alla messa e parteciparvi insieme, prolungando poi la celebrazione a casa durante la settimana con la preghiera in famiglia e la condivisione sul vangelo ascoltato. Partecipare alla messa domenicale con raccoglimento di fede e con l’impegno di costruire un clima di fraternità, pur rispettando le precauzioni richieste. Ci restano sempre tante possibilità, dal saluto all’interessamento verso un’altra famiglia, dalla segnalazione discreta di situazioni di fatica o di povertà alla telefonata per informarsi di fronte a un’assenza prolungata».
Nelle parole di Lovignana riecheggia forte «la bellezza dell’andare a messa», che è anche il tema dell’anno pastorale, come quello a vivere questa Quaresima in un percorso segnato dal contesto della pandemia, che «con il suo peso di sofferenza e di povertà ci sprona a fare penitenza per invocare l’aiuto di Dio e a condividere tempo e risorse con chi si trova maggiormente in difficoltà. La Quaresima è per eccellenza il tempo del digiuno per fare spazio a Dio e ai fratelli nella nostra vita. Non c’è digiuno cristiano senza preghiera. Non c’è digiuno cristiano senza condivisione: tolgo un po’ del mio tempo per aiutare chi ha bisogno, per fare compagnia a chi è solo, per accompagnare chi è malato; tolgo qualcosa alla mia mensa e alle mie possibilità, poche o tante che siano, per far sì che altre persone e famiglie possano mettersi a tavola e abbiano il necessario per vivere in maniera dignitosa (affitto, luce, riscaldamento, vestiti, spesa). Tanti, insieme, con gesti concreti, anche piccoli, possiamo fare molto».
Il vescovo valdostano indica quindi con altrettanta nettezza quel “luogo” per eccellenza «nel quale Dio sempre ci viene incontro: la santa messa che ci fa vivere nella fede il sacrificio di Gesù sulla croce, ripresentato sull’altare».
E ai piedi dell’altare i fedeli di questa antichissima diocesi, accompagnati da circa centotrenta tra preti diocesani e religiosi, sono invitati a una carità fruttuosa, anche con alcuni gesti solo apparentemente semplici. Ogni mercoledì, ad esempio, il vescovo guida (ma l’ultimo Dpcm ha imposto precise restrizioni) le stazioni quaresimali in cattedrale, con messa e adorazione eucaristica e la proposta di una “cena digiuno”: al termine della celebrazione è possibile lasciare un’offerta corrispondente al pasto non consumato e la somma raccolta va a sostenere le tante famiglie in difficoltà seguite dalle parrocchie cittadine. Famiglie (nella Valle d’Aosta sono oltre seicento solo quelle che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali) per lo più legate alle tante attività connesse al turismo che quest’inverno stanno conoscendo una crisi senza fine: qualche settimana fa in centinaia hanno protestato in piazza ad Aosta, a rappresentare gli oltre mille lavoratori diretti (cifra che poi cresce a dismisura considerando l’indotto) degli impianti a fune, di fatto ora inoperosi.
La Chiesa di Aosta da tempo si è mossa, non appena ha raccolto i segnali della pandemia sociale in arrivo: nel settembre scorso sono iniziati — grazie alle offerte dei fedeli e ai fondi dell’otto per mille — i lavori della Casa della carità, una grande struttura che sorgerà a due passi dalla cattedrale e avrà al suo interno il centro di ascolto, la mensa, le docce, un ambulatorio medico, la cucina e degli appositi spazi per le accoglienze temporanee. Una struttura per aiutare i più poveri ma aperta a tutti. «Un’opera-segno», l’ha definita il vescovo, per dare nel concreto testimonianza della carità. La Caritas diocesana, oltre ai dormitori di Aosta e Saint-Vincent, ha già la mensa e un centro di ascolto ma, come ha rimarcato il direttore Andrea Gatto, «ora i locali sono diventati inadeguati, dal momento che il numero delle persone bisognose negli anni è triplicato. Ci sarà anche una cucina per preparare i pasti, grazie alla rete dei prodotti invenduti».
Un contesto di crescente povertà, aveva peraltro evidenziato ancora monsignor Lovignana nel settembre scorso presentando la lettera pastorale, che va inquadrato anche rimettendo al centro l’eucaristia, proprio come indicato dal presule per i prossimi due anni, per riconoscere alla mensa del Signore «lo sguardo di compassione che contempliamo in Gesù prima della moltiplicazione dei pani». E anche questa lettera pastorale, nella sua seconda e centrale parte, non a caso ha messo a tema il «riscoprire la bellezza dell’andare a messa». Una Chiesa che resta comunque missionaria nell’accezione più estesa del termine, con una serie di collette destinate ai missionari, alle religiose e ai fratelli laici valdostani oggi presenti in Etiopia, Senegal, Brasile, Guinea-Bissau, Corea del Sud, Francia, Stati Uniti, Argentina, Madagascar, Spagna. «Ne hanno veramente bisogno — ha detto tra l’altro il direttore dell’Ufficio missionario diocesano, don Ugo Reggiani, nel presentare l’iniziativa — non tanto per la quantità, ma come segno della nostra vicinanza e del nostro sostegno».
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