· Città del Vaticano ·

PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
La proposta della Commissione statistica dell’Onu per dare più peso alle risorse naturali nel calcolo del Pil

Più verdi, più ricchi

 Più verdi, più ricchi  QUO-060
15 marzo 2021

Sarà più verde il nuovo indicatore del prodotto interno lordo (Pil). Lo ha proposto la Commissione statistica delle Nazioni Unite durante la seduta annuale tenutasi nei giorni scorsi virtualmente al Palazzo di vetro. In tale occasione è infatti stato presentato il nuovo indicatore sostenibile: il System of Environmental-Economic Accounting-Ecosystem Accounting ( See-ea ). Si tratta di una serie di parametri innovativi che tengono conto della ricchezza prodotta da ogni nazione, in relazione al capitale naturale speso o preservato. L’obiettivo dell’organo internazionale è quello di superare il sistema statistico comunemente utilizzato per calcolare la ricchezza di un Paese rispetto a un altro. Il sistema See-ea intende appunto andare oltre al Pil, garantendo che il capitale naturale, quali foreste, mari e altri ecosistemi, venga tenuto in considerazione nei rapporti economici. Un metodo volto a garantire due possibili vantaggi: rispondere meglio alle emergenze ambientali, quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità; valutare la prosperità di un Paese non solo in relazione a quanto produce ma anche sulla base di ciò che detiene in termini di capitale naturale.

«Le nazioni devono iniziare a valutare il costo del profitto economico rispetto ai danni all'ambiente se vogliono avere una possibilità in un futuro sostenibile. Le risorse della natura non figurano ancora nei calcoli della ricchezza dei Paesi. Il sistema attuale è orientato alla distruzione, non alla conservazione», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.

È infatti da 75 anni che il successo e il benessere di ogni nazione vengono misurati utilizzando come indicatore il prodotto interno lordo, lasciando che sia la natura a pagare il conto di inquinamento, deforestazione e degrado. «L’economia globale è aumentata di quasi cinque volte negli ultimi cinquant’anni, ma la crescita ha avuto un costo enorme per l'ambiente», ha sottolineato Guterres.

«Questo è l’anno in cui iniziamo a cambiare tutto questo — ha dichiarato Elliott Harris, Assistente segretario generale per lo Sviluppo economico e capo economista delle Nazioni Unite —. Abbiamo trattato la natura come se fosse una risorsa illimitata. Quindi, l’abbiamo degradata, consumandola senza essere realmente consapevoli di ciò che stavamo facendo e di quanto stavamo perdendo in questo processo. Il nuovo quadro ci permetterà di vedere come le nostre attività economiche possono influenzare i nostri ecosistemi, come la presenza della natura ci influenza e come le nostre attività potrebbero essere modificate per raggiungere la prosperità senza danneggiare o distruggere la natura». L’idea iniziale di questo nuovo sistema statistico parte da lontano, dal Summit della Terra del 1992, a seguito del quale l’Onu istituì, nel 1993, il Manuale di contabilità nazionale: contabilità ambientale ed economica integrata (Handbook of National Accounting: Integrated Environmental and Economic Accounting Seea 1993). Dieci anni dopo, nel 2003, è stato pubblicato un ulteriore perfezionamento del quadro statistico, in base alle esperienze pratiche dell’utilizzo del Seea . La Divisione statistica Onu ha poi iniziato a raccogliere commenti a livello mondiale, ottenendo un importante contributo da esperti di diversi settori. Nel 2012, durante la sua quarantatreesima sessione, la Commissione statistica ha adottato il Seea-Central Framework, un primo impianto statistico internazionale per la contabilità economica-ambientale. Già 34 Paesi hanno iniziato a usare questi nuovi parametri statistici per monitorare i cambiamenti nelle risorse dell’ecosistema e collegare queste informazioni all'attività economica. Servirà tempo prima che questo lavoro porti a una contezza effettiva dei benefici.

Ora, dopo quasi trent’anni dalla Conferenza di Rio, il nuovo piano adottato dal Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari economici e sociali (Desa) passerà al vaglio dei prossimi fondamentali appuntamenti nell’agenda della lotta al cambiamento climatico: la Conferenza delle parti (Cop15), in programma a Kunming (Cina) il prossimo maggio, dove si parlerà di biodiversità; e la Cop26 a Glasgow, il prossimo novembre. Anche a motivo di quest’ultimo appuntamento, è arrivato a Bruxelles proprio in questi giorni l’inviato speciale Usa per il clima, John Kerry. In una serrata tabella di appuntamenti — l’incontro a Londra con il premier britannico, Boris Johnson (padrone di casa alla Conferenza Onu sul clima di Glasgow di novembre) e la permanenza a Bruxelles, durante la quale prenderà parte al Collegio dei commissari, incontrerà la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell e il vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, Frans Timmermans — John Kerry dovrà cercare di riposizionare gli Stati Uniti al centro del dialogo sul clima, garantendo un ruolo attoriale degli Usa ai prossimi summit internazionali.

Non solo per restituire un’immagine di contrasto e quindi di affidabilità rispetto alle politiche climatiche della passata amministrazione, le quali avevano scelto di portare gli Usa fuori dagli accordi di Parigi del 2015. Ma anche per ribilanciare gli equilibri internazionali a proprio vantaggio. Perché se l’ex inquilino della Casa Bianca aveva deciso di escludere Washington dalla discussione sul clima, Xi Jinping ha invece posizionato Pechino sotto i riflettori della scena ambientale. A settembre dell’anno scorso, durante la 75ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Cina ha promesso di raggiungere le emissioni zero entro il 2060. Soltanto dieci anni di ritardo rispetto agli obiettivi europei. Un compito ambizioso per il primo Paese produttore al mondo di emissioni di Co2.

Il piano potrebbe costare, stando a una possibile stima degli esperti «tra i 5 mila e 15 mila miliardi di dollari — scrive Filippo Santelli sul numero di dicembre della rivista Limes —. Per azzerare le emissioni, quasi tutte e le 3 mila centrali a carbone del Paese e gran parte delle sue 5 mila miniere andrebbero chiuse entro il 2050. Questo significherebbe privare molte province di un bel pezzo di economia di Stato, fonte decisiva di occupazione, entrate fiscali, potere politico».

Ecco, proprio a fronte delle grandi sfide economico-sostenibili che impongono celerità ai governi dell’oggi, il nuovo “Pil verde” potrebbe aiutare il concerto delle nazioni a uscire da una mentalità capitalistica che ancora adesso vede “green” solo quando si tratta del colore dei dollari.

di Elena Pelloni