· Città del Vaticano ·

Pubblicato il carteggio inedito tra Gadda e Bonsanti

Essere pero, essere zucca

Carlo Emilio Gadda
11 marzo 2021

All’epoca dei suoi esordi letterari Carlo Emilio Gadda si proponeva di «interessare anche il grosso pubblico». Invece, nel 1963, quando la vincita del Prix International de Littérature per il romanzo La cognizione del dolore sancisce il suo successo nel mondo delle lettere, lo scrittore avverte in sé un gelido distacco verso quella gloria cui aveva aspirato. Citando Ariosto, confessa al collega Alessandro Bonsanti: «Sono il pero e la zucca di me stesso». Ovvero, si riconosce nella zucca per la sua crescita tanto rapida quanto effimera; al contempo vede specchiata nella sua carriera l’immagine del pero, per indicare uno sviluppo lento e ponderato. E Bonsanti è tra i suoi interlocutori quello che meglio conosce e comprende questa intrigante contraddizione.

La confessione di Gadda si inscrive nel Carteggio 1930-1970, titolo dell’interessantissimo libro che reca anche la rivelatrice citazione Sono il pero e la zucca di me stesso (Firenze, Leo S. Olschki, 2020, pagine 342, euro 35). A cura di Roberta Colbertaldo, il volume, nel concentrarsi sul rapporto epistolare tra i due scrittori, si configura come una fonte rigogliosa da cui sgorgano pensieri e valutazioni di illuminante profondità.

Gadda e Bonsanti si erano incontrati nel 1930 nell’ambiente di Solaria (rivista letteraria fondata nel 1926 da Alberto Carocci) e rimasero in contatto fino alla fine degli anni Sessanta. Bonsanti, intuendone il genio, decise di prendersi cura delle prime raccolte dell’amico: al tempo stesso sollecitò la consegna dei romanzi a puntate e si fece convinto promotore della pubblicazione dei suoi diari di guerra. La stima è ricambiata: Gadda considerava la scrittura di Bonsanti un saldo punto di riferimento, mai cessando di riconoscergli un ruolo essenziale nella sua biografia di scrittore, che egli stesso consapevolmente tratteggia. Il carteggio — finora inedito — ricostruisce queste complesse vicende editoriali, a testimonianza di un lungo e fruttuoso sodalizio letterario che si carica anche di un alto valore umano e morale. Nella premessa al volume, Gloria Manghetti, direttore del Gabinetto Vieusseux, esprime gratitudine alla curatrice Colbertaldo che «con ammirevole pazienza e al tempo stesso caparbia tenacia, attraverso un commento esaustivo e discreto, ha restituito ai documenti la necessaria prospettiva storica, senza lasciarsi sopraffare dalla loro mole e difficoltà mantenendo ben salda la barra del timone».

Il libro comprende anche una testimonianza della figlia di Alessandro Bonsanti, Sandra, che sottolinea come l’amicizia tra il padre e Gadda abbia saputo sfidare il trascorrere degli anni. Fu un legame che Gadda «cercò i onorare finché visse». Dal canto suo, Alessandro nutrì per l’amico grande affetto e stima: un amico «agile e arzillo», eppure «così solitario e così preso dai suoi demoni, dai pensieri di una esistenza spesso disperata, nelle guerre, nella fame, nella morte dei suoi cari».

All’ombra di quel sodalizio — evidenzia Sandra — nacquero riviste e capolavori del Novecento.

Gadda aveva sempre dubbi sul valore dei suoi libri. Esitava, non comprendendo quanto in realtà quel valore fosse grande. Di conseguenza Bonsanti più di una volta si era trovato a sollecitarlo. Così scrive in una lettera del 29 maggio 1939 riguardo a La cognizione del dolore: «Caro Carlo, non capisco perché non vuoi pubblicare sulla Rivista tutto il tuo romanzo. Hai qualche ragione? Se l’hai, dimmela, ma chiara, non le ragioni fumose e irragionevoli che mi dai. Il tuo romanzo è bello, interessa, piace. Che vuoi di più? Inoltre, ho sempre pensato di pubblicarlo tutto in “Letteratura”; non c’è ragione di rinunziarvi».

Minato da una salute malferma, Gadda, per quanto votato alla solitudine, non manca mai di scrivere all’amico Alessandro per informarlo del suo lavoro e degli accadimenti della sua quotidianità. E quando dall’ultimo contatto è passato «troppo tempo», lo scrittore sinceramente si scusa: un atteggiamento tanto più significativo e sorprendente in un uomo conosciuto per la sua estrema, e a volte ruvida, riservatezza. Dopo il successo del Pasticciaccio, Gadda, in una missiva del 25 luglio 1957, ringrazia Alessandro che nel “Mondo” aveva scritto Gadda impasticciato, una nota «così gentile e così cordiale», la quale detiene anche «un valore critico». Nella lettera Gadda confessa che si è trattato di «un lavoro penoso, atroce in certi giorni, ed economicamente costoso, per il gran tempo che vi ho impiegato e forse perduto». Anche in questo caso Gadda non si smentì: dubitando dei meriti de Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, pensava di aver perso tempo nel realizzarlo. In verità, il tempo lo aveva impiegato al meglio, scrivendo un capolavoro. Il tempo lo aveva perso la critica benpensante, che non comprese subito la grandezza di un’opera che per struttura e per linguaggio costituiva una brusca e provocatoria rottura con i collaudati schemi della narrativa tradizionale.

di Gabriele Nicolò