· Città del Vaticano ·

Il viaggio del Papa in Iraq
A colloquio con il patriarca Sako

Francesco fra noi dà forza
al desiderio di cambiamento

A girl holding the Vatican flag looks on as she waits for the arrival of Pope Francis, at Baghdad ...
05 marzo 2021

Il cuore dell’Iraq batte forte per l’arrivo in giornata di Papa Francesco. E se fra i cattolici è chiaramente grande la gioia e fervono i preparativi, anche fra i musulmani, che rappresentano circa il 98,5% della popolazione, e più in generale fra gli iracheni, si respira un clima di emozione.

A testimoniarlo è il cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, che intervistato da Radio Vaticana - Vatican News restituisce l’intenso clima di attesa generato dal viaggio apostolico. Una visita che è una semina di speranza tanto necessaria in quella terra per costruire un futuro migliore — perché, come affermato da Francesco stesso nel videomessaggio agli iracheni — egli viene come «pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo». Un «pellegrino di pace in cerca di fraternità» che intende pregare e «camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani».

Qual è lo stato d’animo con cui la comunità cristiana dell’Iraq si prepara ad accogliere Papa Francesco?

Personalmente, sono molto colpito. Già prima della visita tante cose sono cambiate. I musulmani sono entusiasti: hanno preparato le bandiere, hanno anche composto canti. Una persona ha realizzato un poster di più di 10 metri con la foto del Papa e una frase in inglese che dice «Francis, you are welcome in Iraq»! Sono cose che noi non abbiamo vissuto. Anche le strade sono state decorate; alcuni musulmani hanno scritto su Facebook: «Santo Padre, se potesse ritardare un po’ la sua visita perché possano pulire le nostre strade e restaurare le scuole eccetera…». Dunque, c’è un’attesa così forte da parte di tutti per un cambiamento. Ma anche i cristiani hanno preparato i luoghi dove andrà, le chiese, la liturgia… c’è un’attesa straordinaria!

La vita dei cristiani in Iraq, negli ultimi decenni, non è stata affatto semplice, anzi, è stata costellata di tragedie e di un forte esodo verso l’estero. Come è ora la situazione, e quali sono le attese specifiche da parte della comunità cristiana?

I cristiani, ma non solo, anche tutti, tutti gli iracheni, hanno pagato cara la situazione. Penso sia necessario chiudere questa pagina e aprirne una nuova, con tanta speranza. Tutti gli iracheni. Il Santo Padre parlerà della fraternità umana e della fraternità spirituale quando andrà a Ur, la terra di Abramo, ma parlerà anche della speranza, della fiducia, della solidarietà e della collaborazione di tutta la popolazione per un futuro migliore. I cristiani anche devono uscire dal loro complesso e dalle loro paure e preoccupazioni e devono aprirsi. Qui c’è tanta gioia da parte di tutti.

Lei ha citato le paure della comunità cristiana. Quali sono queste paure?

Sono le paure antiche: io non dico di ora, perché adesso non c’è niente contro i cristiani, non ci sono attentati, ma paure... La stabilità del futuro, i servizi, la giustizia, uno Stato di diritto, di cittadinanza dove ovunque uno si trovi, senta che l’Iraq è la sua casa e che gli iracheni sono suoi fratelli e sorelle. Uno Stato secolare e democratico… È un progetto, ma verrà, verrà: io ne sono sicuro!

Il Paese è alla ricerca di una strada per la riconciliazione nazionale. Che ruolo ha la popolazione più giovane dell’Iraq?

Hanno avuto un impatto molto grande: hanno cambiato un governo e finora le loro rivendicazioni sono attuali. Forse le elezioni future cambieranno la situazione. I giovani, dunque, sono presenti, sono forti. Anche loro hanno pagato caro, hanno pagato con il loro sangue. Dunque, il futuro non sarà come il presente.

di Stefano Leszczynski
e Debora Donnini