· Città del Vaticano ·

La settimana di Papa Francesco

Il magistero

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04 marzo 2021

Sabato 27 febbraio


Lo stile di san Gabriele

Sono trascorsi cent’anni da quando Benedetto xv canonizzò Gabriele dell’Addolorata, morto a Isola del Gran Sasso il 27 febbraio 1862, a 24 anni. La sua testimonianza cristiana fu così straordinaria e singolare, da poter essere additata come modello per tutta la Chiesa, specialmente per le nuove generazioni. Desidero unirmi spiritualmente a codesta Diocesi [di Teramo-Atri, ndr], ai Padri Passionisti, alle comunità cristiane abruzzesi e molisane [per] l’apertura della porta santa presso il Santuario dedicato al patrono della gioventù. Le manifestazioni programmate possano ravvivare l’affetto e la devozione di quanti vedono in questo Santo un esemplare testimone del Vangelo. Gabriele era un giovane del suo tempo, pieno di vita e di entusiasmo, animato da un desiderio di pienezza che lo spingeva oltre le realtà mondane ed effimere. Ancora oggi, egli invita i giovani a riconoscere in sé stessi il desiderio di vita e di appagamento, che non può prescindere dalla ricerca di Dio, dall’incontro con la sua Parola, dal servizio ai fratelli, specialmente i più fragili.

Giovane passionista forte nella fede

Possa l’esempio di questo giovane religioso passionista, forte nella fede, fermo nella speranza e ardente nella carità, guidare il cammino delle persone consacrate e dei fedeli laici nella tensione di amore verso Dio e verso il prossimo. Specialmente in questo tempo di emergenza sanitaria, e di conseguente fragilità economica e sociale, è necessario che i discepoli del Signore diventino sempre più strumenti di comunione e di fraternità, estendendo agli altri la carità di Cristo ed irradiandola con atteggiamenti concreti di vicinanza, tenerezza e dedizione.

(Lettera per l’apertura dell’Anno giubilare per san Gabriele dell’Addolorata)


Domenica 28


Gesù trasfigurato

Questa seconda domenica di Quaresima invita a contemplare la trasfigurazione di Gesù sul monte, davanti a tre discepoli.
Egli aveva annunciato che, a Gerusalemme, avrebbe sofferto molto, sarebbe stato rifiutato e messo a morte.
Possiamo immaginare cosa dev’essere successo nel cuore dei suoi amici intimi: l’immagine di un Messia forte e trionfante viene messa in crisi, i loro sogni vengono infranti, e li assale l’angoscia.
E proprio in quel momento, Gesù chiama Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta con sé.
Nella Bibbia, sempre il monte ha un significato speciale: è il luogo elevato, dove cielo e terra si toccano, dove Mosè e i profeti hanno fatto l’esperienza straordinaria dell’incontro con Dio.
In cima al monte, Egli si trasfigura davanti a loro.
Il suo volto raggiante e le sue vesti splendenti, che anticipano l’immagine da Risorto, offrono a quegli uomini impauriti la luce della speranza per attraversare le tenebre: la morte non sarà la fine di tutto, si aprirà alla gloria della Risurrezione.
Dunque, Gesù annuncia la sua morte, li porta sul monte e fa vedere loro cosa succederà dopo, la Risurrezione.

Il buio non ha l’ultima parola

È un invito a ricordarci, specialmente quando attraversiamo una prova difficile che il Signore non permette al buio di avere l’ultima parola.
A volte capita di attraversare momenti di oscurità nella vita personale, familiare o sociale.
E di temere che non ci sia una via d’uscita.
Ci sentiamo spauriti di fronte ai grandi enigmi come la malattia, il dolore innocente o il mistero della morte.
Nello stesso cammino di fede, spesso inciampiamo incontrando lo scandalo della croce.
Il Vangelo ci chiede di spendere la vita nel servizio e di perderla nell’amore, invece di conservarla per noi stessi e difenderla.
Abbiamo bisogno, allora, di un altro sguardo, di una luce che illumini in profondità il mistero della vita.
Che ci aiuti ad andare oltre i nostri schemi e i criteri di questo mondo.
Anche noi siamo chiamati a salire sul monte, a contemplare la bellezza del Risorto.
[Essa] accende barlumi di luce in ogni frammento della nostra vita e ci aiuta a interpretare la storia a partire dalla vittoria pasquale.

Attenti alla pigrizia spirituale

Stiamo attenti, però: quel sentire di Pietro che “è bello per noi stare qui” non deve diventare una pigrizia spirituale. Non possiamo restare sul monte e godere da soli la beatitudine. Gesù stesso ci riporta a valle, tra i nostri fratelli e nella vita quotidiana. Dobbiamo guardarci dallo stiamo bene noi, con le nostre preghiere e liturgie, e ci basta questo. No! Salire sul monte non è dimenticare la realtà; pregare non è  evadere dalle fatiche della vita; la luce della fede non serve per una bella emozione spirituale. Questo non è il messaggio di Gesù. Siamo chiamati a fare esperienza dell’incontro con Cristo perché, illuminati della sua luce, possiamo portarla ovunque. Accendere piccole luci nei cuori delle persone; essere piccole lampade di Vangelo che portano un po’ d’amore e di speranza: questa è la missione del cristiano.

Una carezza ai bambini con malattie rare

Oggi ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. È più che mai importante la rete di solidarietà tra i familiari [che] aiuta a non sentirsi soli e a scambiarsi esperienze e consigli.
Incoraggio le iniziative che sostengono la ricerca e la cura, ed esprimo la mia vicinanza ai malati, alle famiglie, ma specialmente ai bambini.
Stare vicino ai bambini malati, che soffrono, pregare per loro, fare sentire loro la carezza dell’amore di Dio, la tenerezza.
Curare i bambini con la preghiera... Quando ci sono queste malattie che non si sa cosa siano, o c’è un pronostico un po’ brutto.

Digiuno da pettegolezzi e maldicenze

In questo tempo di Quaresima... vi consiglio un digiuno che non vi darà fame: digiunare da pettegolezzi e maldicenze.
Non sparlerò degli altri, non farò chiacchiere. Questo bel digiuno possiamo farlo tutti.
Sarà utile pure ogni giorno leggere un brano del Vangelo, portare il Vangelo piccolo in tasca, nella borsa, e prenderlo quando si può. Questo fa aprire il cuore.

(Angelus in piazza San Pietro)


Lunedì 1° marzo


Vicini ai poveri e agli ultimi

Ringrazio la presidente, Maria Eugenia Ralletto, per le sue parole; semplici,  francescane, ma consistenti.
Da tanti anni, nella città di Firenze, svolgete un prezioso servizio di ascolto e di vicinanza alle persone che si trovano in condizioni economiche e sociali difficili: famiglie, anziani o  disabili che hanno bisogno di sostegno e di compagnia.
In un mondo che tende a correre a due velocità, che da una parte produce ricchezza ma, dall’altra, genera disuguaglianza, voi siete un’efficace opera di assistenza, basata sul volontariato e siete tra quelli che gettano i semi del Regno di Dio.
Gesù venendo nel mondo e annunciando il Regno del Padre, si è avvicinato con compassione alle ferite umane.
Si è fatto vicino soprattutto ai poveri, a coloro che erano emarginati e scartati; a sfiduciati, abbandonati e  oppressi.
Dio è un Padre che vuole custodire tutti; difendere e promuovere la dignità di ogni suo figlio e figlia, e  ci chiama a costruire le condizioni umane, sociali ed economiche perché nessuno venga calpestato nei suoi diritti fondamentali, nessuno debba soffrire per la mancanza del pane materiale o per la solitudine.

L’esempio di Francesco d’Assisi

In questa opera siete ispirati dalla testimonianza luminosa di Francesco d’Assisi. Cercando di seguire il suo esempio, portate avanti da quasi quarant’anni questo servizio, che è un segno concreto di speranza, e anche segno di contraddizione nella trafficata vita della città, dove tanti si ritrovano soli con la propria povertà e sofferenza.
Un segno che riscuote le coscienze assopite e invita a uscire dall’indifferenza, ad avere compassione di chi è ferito, a chinarsi con tenerezza su chi è schiacciato dal peso della vita.
Andate avanti con coraggio nel vostro lavoro!
Chiedo al Signore di sostenerlo, perché sappiamo che il nostro buon cuore e le nostre forze umane non bastano.
Prima delle cose da fare, quando siamo davanti a una persona povera siamo chiamati a un amore che ce la fa sentire nostro fratello, nostra sorella; e ciò è possibile grazie a Cristo, presente in quella persona.

(Discorso al Centro francescano di solidarietà di Firenze)


Mercoledì 3


Preghiera e Trinità

Nel nostro cammino di catechesi sulla preghiera, oggi e la prossima settimana vogliamo vedere come, grazie a Gesù Cristo, la preghiera ci spalanca alla Trinità — al Padre, al Figlio e allo Spirito —, al mare immenso di Dio che è Amore.
È Gesù ad averci aperto il Cielo e proiettati nella relazione con Dio Trino.
Noi non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio.
Nella richiesta rivolta dai discepoli al Maestro,  c’è tutto il brancolamento dell’uomo.
Non tutte le preghiere sono uguali, e non tutte sono convenienti: la Bibbia attesta [che] tante vengono respinte.
Forse Dio a volte non è contento delle nostre orazioni e nemmeno ce ne accorgiamo.
Egli guarda le mani di chi prega: per renderle pure non bisogna lavarle, semmai bisogna astenersi da azioni malvage.
San Francesco in maniera radicale pregava: «nessun uomo è degno di nominarti» (Cantico di frate sole).
Ma forse il riconoscimento più commovente della povertà della nostra preghiera è fiorito sulle labbra del centurione romano che supplicò Gesù di guarire il suo servo.
Egli si sentiva inadeguato: non era ebreo, era ufficiale dell’odiato esercito di occupazione.
Ma la preoccupazione lo fa osare: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito».
È la frase che anche noi ripetiamo in ogni liturgia eucaristica.

Noi zoppichiamo con ogni parola

Dialogare con Dio è una grazia: noi non ne siamo degni, non abbiamo alcun diritto; noi “zoppichiamo” con ogni parola e ogni pensiero.
Però Gesù è la porta che ci apre a questo dialogo con Dio.
Perché l’uomo dovrebbe essere amato da Dio? Non ci sono ragioni evidenti, non c’è proporzione.
Tanto è vero che in buona parte delle mitologie non è contemplato il caso di un dio che si preoccupi delle vicende umane; esse sono fastidiose e noiose,  trascurabili.
Alcuni filosofi dicono che Dio può solo pensare a sé stesso.
Semmai siamo noi umani che cerchiamo di imbonire la divinità e di risultare gradevoli ai suoi occhi.
Di qui il dovere di “religione”, con il corteo di sacrifici e di devozioni da offrire per ingraziarsi un Dio muto, indifferente.
È stato Gesù, è stata la rivelazione di Dio prima di Gesù a Mosè, quando Dio si è presentato; è stata la Bibbia ad aprirci il cammino del dialogo con Dio.
Un Dio che ama l’uomo, noi non avremmo mai avuto il coraggio di crederlo se non avessimo conosciuto Gesù.

Lo scandalo scolpito nella parabola del Padre misericordioso

È lo scandalo scolpito nella parabola del padre misericordioso o in quella del pastore che cerca la pecora perduta. Racconti del genere non avremmo potuto concepirli, nemmeno comprenderli, se non avessimo incontrato Gesù. Quale Dio è disposto a morire per gli uomini? Quale Dio ama sempre e pazientemente, senza la pretesa di essere riamato?Quale Dio accetta la mancanza di riconoscenza di un figlio che chiede in anticipo l’eredità e se ne va sperperando tutto?È Gesù a rivelare il cuore di Dio... Tam Pater nemo: Nessuno è Padre come Lui. Noi immaginiamo a fatica e molto da lontano l’amore di cui la Trinità Santissima è gravida, e quale abisso di benevolenza reciproca intercorra tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Le icone orientali ci lasciano intuire qualcosa di questo mistero che è l’origine e la gioia di tutto l’universo.Soprattutto era lungi da noi credere che questo amore divino si sarebbe dilatato, approdando sulla nostra sponda umana: siamo il termine di un amore che non trova eguali sulla terra.

(Udienza generale nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico vaticano)

“Fratelli tutti” perché figli di un unico Padre

Ho accolto come una bella e gioiosa sorpresa la notizia che l’Enciclica Fratelli tutti  sia stata tradotta in russo e venga presentata a Mosca, nel Centro culturale “Pokrovskie vorota”. Così essa è resa disponibile a un gran numero di uomini e donne di buona volontà che vorranno confrontarsi con questo testo. Mi ha anche rallegrato e colpito il fatto che sia stato il Muslim International Forum a curare questa traduzione. Possano la riflessione e il dialogo su questa Enciclica essere di aiuto non solo per la Federazione Russa, dove il dialogo tra cristiani e musulmani è chiamato a crescere, ma per la famiglia umana nel suo insieme. Nel mondo globalizzato e interconnesso in cui viviamo, un gesto che viene fatto in un angolo ha ripercussioni in ogni altra parte. Inoltre, sono fiducioso che il confronto aperto e sincero sui temi della Fratelli tutti possa favorire il dialogo tra le religioni. La fratellanza nasce dal fatto di riconoscere un unico Padre. Se siamo tutti figli di un unico Padre, allora possiamo chiamarci fratelli e soprattutto vivere come tali.

(Messaggio per la traduzione dell’Enciclica in lingua russa)