Il Vangelo

I 35 anni di missione di fra Guglielmo Massaia
Furono trentacinque anni di grande lavoro e immensi sacrifici, trentacinque anni di stenti e paure, sacrifici e abnegazione, terminati con l’esilio forzato ma anche con un segno indelebile: quello di aver dato i natali alla città di Addis Abeba. Furono gli anni della straordinaria esperienza missionaria di Abuna Messias, ovvero fra Guglielmo da Piovà, alias Lorenzo Antonio Massaia, divenuto venerabile per la Chiesa, amico fraterno del popolo Galla ed eroe dell’Italia dei primi anni del Novecento che l’omaggiò con un film (prodotto nel 1938 per la regia di Goffredo Alessandrini) vincitore di uno speciale premio al Festival del Cinema di Venezia. E che indusse il suo paese natale, Piovà, ad adottarne anche il nome, in perenne ricordo della sua straordinaria vita.
Lorenzo Antonio Massaia nacque l’8 giugno del 1809 nella borgata La Braja di Piovà d’Asti (oggi Piovà Massaia come detto). Era il settimo degli otto figli di Giovanni Massaia e Domenica Maria Bertorello, un’agiata famiglia dell’astigiano. Trascorse l’adolescenza sotto la guida del fratello Guglielmo, parroco di Pralormo, e frequentò il Collegio reale di Asti come seminarista dal 1824 al 1826. Il 6 settembre del 1826 indossò il saio cappuccino a Madonna di Campagna, presso Torino, con il nome di Guglielmo e ricevette il presbiterato a Vercelli il 16 giugno 1832. Terminati gli studi, assunse nel 1834 la direzione spirituale dell’Ospedale mauriziano di Torino dove rimase per due anni, divenendo confessore e consigliere del futuro san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Le conoscenze di medicina acquistate al Mauriziano gli avrebbero invece permesso, durante i suoi anni africani, di preparare personalmente il vaccino del vaiolo e di salvare molta gente.
I successivi dieci anni lo videro insegnante di filosofia e teologia nel convento di Moncalieri-Testona, cappellano estivo di casa Savoia — dove conobbe la regina Maria Teresa, suo marito Carlo Alberto, e il principe Vittorio Emanuele
Nel 1846 fra Guglielmo fu trasferito al convento del Monte dei Cappuccini a Torino e il 26 aprile 1846 Gregorio
Lorenzo Antonio sbarcò a Massaua, nella prefettura dell’Abissinia che comprendeva l’attuale Eritrea e il Nord Tigray. La strada verso l’interno era sbarrata dalle guerre tra il principe del Tigray, Ubié e il ras Aly, principe dell’Asmara. Durante la pausa forzata, il cappuccino iniziò la perlustrazione dei litorali del mar Rosso e del Golfo arabico nel vano tentativo di trovare una via, i mezzi ed i lasciapassare per arrivare nelle terre dei Galla, nel centro dell’Etiopia. Massaia incontrò l’apprezzamento dei nativi, per i quali divenne l’hakim (il medico), che ammiravano le sue doti terapeutiche. La sua fama lo precedeva nei suoi viaggi e trovava sempre, prima di far ingresso in un villaggio, nutriti gruppi di indigeni ad aspettarlo per salutarlo e indurlo a improvvisare subito un ambulatorio. Ma provocò anche la gelosia della casta religiosa ortodossa. I ras ed i capi dei villaggi apprezzavano l’opera del Massaia ma il clero etiope non poteva tollerare uno straniero che faceva tanti proseliti. Il vescovo ortodosso Abuna Salama
Il 3 giugno 1850 il cappuccino salpò da Aden per l’Europa e ottemperò alla missione diplomatica per poi riprendere ancora una volta il tentativo di entrare nel suo vicariato risalendo il Nilo, in veste di mercante, bastone in mano, piedi scalzi e passaporto intestato a Giorgio Bartorelli. Il missionario riuscì a entrare il 21 novembre del 1852 nella terra degli Oromo, indossando di nuovo gli abiti da religioso, raggiungendo la regione del Gudrù nel 1852. Qui fondò la sua prima missione sul ciglione di Assandabò, alla confluenza del Guder con il Nilo Azzurro, una cinquantina di chilometri a nord-est del lago di Finciaa, che oggi copre la verde palude Ciomèn. Più a sud, nei pressi del Ghibiè, fondò la missione di Lagamàra, dove rimase fino al 1859, un’altra ad Afallo nel Ghera, dove sono stati sepolti padre Léon des Avanchère e l’esploratore Giovanni Chiarini. Rientrato temporaneamente in Francia nel 1866, fondò a Marsiglia il collegio San Michele per l’educazione dei giovani Galla e pubblicò la prima grammatica in quella lingua. Per la sua missione trovò aiuti in denaro perfino dall’imperatrice Eugenia e dal consorte Napoleone
Il cappuccino operò nella terra degli Oromo e nello Scioa per 27 anni unendo le attività di formazione della gioventù e dei catechisti a quelle umanitarie come la profilassi contro malattie endemiche, vaccinazioni contro il vaiolo, creazione della prima grammatica della lingua Oromo, allora solo parlata, trascritta con caratteri latini, compilazione di manuali scolastici, creazione di centri assistenziali per le vittime di guerre e carestie, incremento e sviluppo dell’agricoltura, sostegno a varie spedizioni scientifiche; senza trascurare iniziative diplomatiche, tanto da essere appunto nominato dal governo italiano ministro plenipotenziario nel Trattato d’amicizia e commercio tra l’Italia e lo Scioa (1° marzo 1879).
Il missionario di Piovà si adattò perfettamente all’ambiente in cui fu costretto a operare. L’Abuna Messias camminava sempre a piedi nudi, si limitava a poche ore di sonno steso su di una stuoia o semplicemente per terra, mangiava tutti i cibi locali e osservava i terribili digiuni etiopici, consistenti nelle “quattro Quaresime” di Natale, di Pasqua, degli Apostoli e dell’Assunzione, con l’aggiunta di tutti i mercoledì e venerdì della settimana, per circa duecento giorni di digiuno annuo. Durante i suoi viaggi portava sulle spalle un misero fagotto con gli arredi sacri mendicando un pezzo di pane o accontentandosi di un pugno di ceci cotti. Ottenne da re Menelik la promulgazione di appositi statuti che riguardavano la monogamia, l’indissolubilità del matrimonio e il divieto della cosiddetta “macchia del sangue” (spirali di uccisioni per vendicare i torti subiti). Durante le terribili carestie il missionario cappuccino allestì centri assistenziali in varie zone coinvolgendo in particolare le famiglie più ricche a donare beni e prestare assistenza. In mancanza di latte i bambini ricevevano una mistura molto digeribile di lino abbrustolito sciolto nell’acqua secondo una ricetta di sua invenzione. Il vescovo astigiano osservò con attenzione il processo delle varie malattie endemiche combattendole inizialmente con la cura dell’igiene dei luoghi e delle persone. Frenò in tal modo il contagio di lebbra, malaria e sifilide. Attingendo alle risorse del territorio, intervenne con diagnosi accurate e terapie opportune contro dissenteria, la tenia, artrite, febbre gialla. La sua opera sanitaria più importante fu la profilassi contro il vaiolo, per cui venne acclamato dalle popolazioni “padre del fantatà” (“vaiolo” in lingua Galla). Massaia creò un vaccino usando direttamente il pus estratto dalle pustole vaiolose dei pazienti e durante il periodo della sua missione immunizzò circa quarantamila persone.
La grandissima stima conquistata da Massaia tra la popolazione locale non trovò però estimatori in tutte le sedi. Il clero etiopico sobillò re Johannes
Il 2 agosto 1881 Papa Leone
Lorenzo Massaia, morì a San Giorgio a Cremano (Napoli) il 6 agosto 1889: per Leone
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