· Città del Vaticano ·

La prima predica di Quaresima

Dalla tiepidezza al fervore

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26 febbraio 2021

Dalla mediocre tiepidezza al fervore dello Spirito e quindi alla gioia: per suggerire un itinerario di conversione concreta il cardinale Raniero Cantalamessa non ha usato giri di parole nella prima predica di Quaresima, tenuta venerdì 26 febbraio, alle 9, nell’aula Paolo VI.

Avendo per tema «Voi chi dite che io sia?» (Matteo 16, 15), il predicatore della Casa pontificia ha rilanciato il «sempre attuale appello»: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Marco 1, 15).

E «di conversione — ha spiegato — si parla in tre momenti o contesti diversi del Nuovo Testamento. Insieme, i tre passaggi ci danno un’idea completa su che cosa è la metanoia evangelica. Non è detto che dobbiamo sperimentarle tutte e tre insieme, con la stessa intensità. C’è una conversione per ogni stagione della vita. L’importante è che ognuno di noi scopra quella che fa per lui in questo momento».

Anzitutto «la prima conversione è quella che risuona all’inizio della predicazione di Gesù e che è riassunta» appunto «nelle parole: “Convertitevi e credete nel Vangelo”». E così «cerchiamo di capire cosa significa la parola conversione», perché con la venuta di Gesù «sono cambiate le cose» e «convertirsi non significa più “tornare indietro” ma fare un balzo in avanti ed entrare nel Regno, afferrare la salvezza che è venuta agli uomini gratuitamente, per libera e sovrana iniziativa di Dio». Si passa «dall’idea di un Dio che chiede, ordina, minaccia, all’idea di un Dio che viene a mani piene per darci lui tutto. È la conversione dalla “legge” alla “grazia” che stava tanto a cuore a san Paolo».

Il cardinale Cantalamessa ha quindi riproposto la nota parola di Gesù: «I discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: chi dunque è il più grande nel regno dei cieli? Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: in verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18, 1-3). E «questa volta sì — ha spiegato — che convertirsi significa tornare indietro, addirittura a quando si era bambini! Questa è la conversione di chi è entrato già nel regno, ha creduto al Vangelo, è da tempo al servizio di Cristo. È la nostra conversione!».

Di fronte alla discussione su chi fosse «il più grande», ha fatto notare il predicatore cappuccino, «la preoccupazione maggiore non è più il regno, ma il proprio posto in esso, il proprio io. Ognuno di essi aveva qualche titolo per aspirare a essere il più grande. I frutti di questa situazione sono evidenti: rivalità, sospetti, confronti, frustrazione». Ma «Gesù di colpo toglie il velo. Altro che primi, in questo modo nel regno non ci si entra affatto! Il rimedio? Convertirsi, cambiare completamente prospettiva e direzione».

«Tornare bambini, per gli apostoli, significava tornare a come erano al momento della chiamata: senza pretese, senza titoli, senza confronti tra di loro, senza invidie, senza rivalità. Ricchi solo di una promessa (“Vi farò pescatori di uomini”) e di una presenza, quella di Gesù. A quando erano ancora compagni di avventura, non concorrenti per il primo posto». E così «anche per noi tornare bambini significa tornare al momento in cui scoprimmo di essere chiamati, al momento dell’ordinazione sacerdotale, della professione religiosa, o del primo vero incontro personale con Gesù. Quando dicevamo “Dio solo basta!” e ci credevamo».

«Il terzo contesto in cui ricorre, martellante, l’invito alla conversione è dato dalle sette lettere alle Chiese dell’Apocalisse» ha rilanciato. «Sono rivolte a persone e comunità che, come noi, vivono da tempo la vita cristiana e, anzi, esercitano in esse un ruolo-guida». Per il cardinale Cantalamessa, la lettera «che deve farci riflettere più di tutte è» quella «alla Chiesa di Laodicea», con il «tono severo»: «Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca... Sii zelante e convertiti».

«Qui si tratta — ha affermato — della conversione dalla mediocrità e dalla tiepidezza al fervore dello Spirito. Nella storia della santità cristiana l’esempio più famoso della prima conversione, dal peccato alla grazia, è sant’Agostino; l’esempio più istruttivo della seconda conversione, dalla tiepidezza al fervore, è santa Teresa d’Avila. Quello che ella dice di sé nella Vita può servire per un esame di coscienza», fino a scoprire «il vero motivo della propria insoddisfazione e scontentezza».

Proprio parlando «di conversione dalla tiepidezza, san Paolo esortava i cristiani di Roma» a non essere «pigri nel fare il bene» ma «ferventi nello Spirito». Però «verrebbe da obiettare: caro Paolo, proprio qui sta il problema! Come passare dalla tiepidezza al fervore, se uno malauguratamente vi è scivolato?». E il consiglio del predicatore è: non «trascurare» o «interpretare male» l’espressione «nello Spirito».

Il cardinale ha fatto presente che se «è vero che la mortificazione è necessaria per giungere al fervore dello Spirito, è anche vero che il fervore dello Spirito è necessario per giungere a praticare la mortificazione». I padri della Chiesa hanno usato «l’immagine suggestiva della “sobria ebbrezza”» ha spiegato. Ma «come fare per riprendere questo ideale della “sobria ebbrezza” e incarnarlo nella presente situazione storica ed ecclesiale? Dove sta scritto che un modo così “forte” di sperimentare lo Spirito era appannaggio esclusivo dei padri e dei primi tempi della Chiesa, ma che non lo è più per noi?».

Sant’Ambrogio ricorda «i due “luoghi” classici in cui attingere lo Spirito, l’Eucaristia e le Scritture», e poi «accenna a un mezzo “straordinario” che consiste nel rivivere l’esperienza che gli apostoli fecero il giorno di Pentecoste». Ed «è quello che san Giovanni xxiii si riprometteva con il concilio: una “nuova Pentecoste” per la Chiesa».

«Uno dei modi in cui si manifesta ai nostri giorni questo modo di agire dello Spirito al di fuori dei canali istituzionali della grazia è il cosiddetto “battesimo nello Spirito”» ha insistito il predicatore, condividendo l’esperienza della «corrente di grazia» nel Rinnovamento carismatico cattolico.

Si tratta di «un rinnovamento e un’attualizzazione — ha spiegato — non solo del battesimo e della cresima, ma di tutta la vita cristiana: per gli sposati, del sacramento del matrimonio; per i sacerdoti, della loro ordinazione; per i consacrati, della loro professione religiosa. Il frutto più frequente e più importante è la scoperta di che cosa significa avere un “rapporto personale” con Gesù risorto e vivo. Nella comprensione cattolica, il “battesimo nello Spirito” non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza verso la maturità cristiana e l’impegno ecclesiale».

In conclusione, il cardinale ha suggerito che «il segreto è dire una volta “Vieni, Santo Spirito” con tutto il cuore, lasciando libero lo Spirito di venire nel modo che vuole lui, non come noi vorremmo che venisse». Insomma, con il «“battesimo nello spirito” non si contano le persone che erano cristiani soltanto di nome e, grazie a quella esperienza, sono diventate cristiani di fatto, dediti alla preghiera di lode e ai sacramenti, attivi nell’evangelizzazione e pronti ad assumersi compiti pastorali nella parrocchia. Una vera conversione dalla tiepidezza al fervore!», che interpella tutti.