· Città del Vaticano ·

Giornata mondiale della giustizia sociale

Trasparenza digitale
per i diritti dell’uomo

(FILES) In this file photo people protest working conditions outside of an Amazon warehouse ...
20 febbraio 2021

La nostra libertà e la giustizia fra gli individui e le Nazioni dipendono anche dalla signoria degli algoritmi che è il quadro di riferimento — ormai ineludibile — anche del mondo del lavoro, come di ogni aspetto della vita quotidiana.

Le Nazioni unite, dedicando alla civiltà digitale l’annuale giornata mondiale per la giustizia sociale, suscitano un dibattito urgente e ci dicono che la dignità del lavoro umano richiede si metta mano a una carta dei diritti condivisa e globale. In un mondo tecnologicamente interconnesso, anche le regole del gioco devono adeguarsi e armonizzarsi in un orizzonte comune di tutela dell’uomo e del suo sviluppo integrale.

Esiste infatti, dice l’organizzazione delle Nazioni, un “Sud globale”, diffuso sotto l’equatore della tecnologia, sommerso dall’emergere del “Nord globale” che detiene gli strumenti e le conoscenze per costruire le strutture immateriali che plasmeranno le vite di tutti.

Se queste strutture immateriali, fatte di algoritmi oscuri, saranno strumenti di civiltà, di cooperazione, di sostegno oppure saranno binari per smaltire vite nel loro ciclo produttivo, di consumo, riproduzione ed estinzione, dipende dai prossimi mesi. E da come — ci suggerisce il tema della giornata mondiale del 20 febbraio — saranno sciolti i nodi del confronto fra lavoro dell’uomo e l’enigma tecnologico degli algoritmi.

Un enigma che avrebbe una chiara soluzione: essendo l’algoritmo null’altro che un insieme di istruzioni digitali finalizzate a risolvere un preciso problema, basterebbe renderne noti composizione e obiettivi (ai quali sono per definizione vincolati). Ma l’enigma è ben custodito. Insieme alla raccolta dati e al controllo delle persone — altro punto cruciale del rapporto fra mondo del lavoro e digitalizzazione della realtà materiale — le “ricette” degli algoritmi sono la chiave del controllo. La cassetta degli attrezzi della realtà a venire.

Non sorprende, dunque, se ne parli poco. E non sorprende la scelta delle Nazioni Unite di dedicare proprio alla digitalizzazione del mondo del lavoro la giornata mondiale per la giustizia sociale.

All’ascesa della civiltà digitale si è accompagnato, nei fatti, un impoverimento del mondo del lavoro laddove era più forte. Ci sono luoghi del pianeta, peraltro, dove più indietro di così non sarebbe potuto andare.

Attualmente il 60% dei lavoratori del pianeta non ha le tutele di un contratto. Il 55% di quelli che un contratto ce l’hanno, sono precari in forme più o meno gravi. Senza contare che dalla crisi finanziaria del 2008 i posti di lavoro sono aumentati appena dello 0, 1%. Le Nazioni Unite stimano, poi, che per sostenere il sistema occorrerebbero 600 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Al contrario i disoccupati sono 212 milioni, ben 11 milioni in più dell’anno precedente. E il trend è quello anche per l’immediato futuro.

La giustizia sociale, dunque si rivela un elemento portante dell’algoritmo fondamentale che deve rispondere al problema della sostenibilità globale. Non è per generosità che perfino dalle parti dei mercati finanziari ci si risvegli su temi come ipotizzare la cancellazione del debito (vedi le analisi del «Financial Times») o l’accesso alla vaccinazione per il covid anche dei dimenticati della Terra. La giustizia sociale non è solo una promessa della Civiltà dell’amore che verrà e un’aspirazione insopprimibile dell’essere umano. È la sola alternativa reale alla disgregazione ed al fallimento sociale. E questo cominciano ad afferrarlo prudentemente anche taluni profeti del mercato.

Ben venga dunque l’iniziativa dell’Onu che mira a mettere attorno a un tavolo i soggetti che possono incidere sulla realtà per darle regole sagge. Partner delle Nazioni Unite nella costruzione di regole condivise sui diritti del lavoro è l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo, International labour organization) che è formata dalle rappresentanze dei governi, delle associazioni sindacali e dei datori di lavoro di 183 Paesi. Una struttura tripartita che si è data una carta fondamentale nel 2008, l’anno della grande crisi di Wall Street e un’agenda di obiettivi detta Agenda per il lavoro con dignità.

La digitalizzazione delle strutture del lavoro è una realtà complessa della quale non si conosce ancora il perimetro. Il covid ha imposto il lavoro a distanza (come del resto la didattica), nuovi rischi e nuove discriminazioni possibili. Ma non ha portato una novità. Ha solo fatto più luce su una realtà consolidata e ha reso urgente un dibattito ineludibile: ora che la tecnologia si è irreversibilmente imposta come nuovo standard nelle relazioni, lavorative e no, è rinviabile disegnare una nuova carta dei diritti dell’uomo e del lavoro? Non esiste solo il lavoro a distanza, con le sue incognite. Basti pensare ai dispositivi per «aumentare» le prestazioni dei lavoratori manuali per rendersene conto. Un gigante delle piattaforme di vendite online progettava di dotare i suoi magazzinieri di dispositivi da indossare e in grado di renderli più rapidi, precisi ed efficienti. E se per il magazziniere “aumentato” si dovrà attendere, la cosa è interessata, ad esempio, allo Stato francese, che sperimenta l’introduzione di soldati “aumentati” grazie a dispositivi tecnologici. Operaio, soldato o studente a distanza, il problema di chi la spunterà fra uomo e dispositivo è sul tavolo.

di Chiara Graziani