È un’opera articolata il saggio di Valentina Sordoni L’immortale britanno (Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2020, pagine 132, euro 16), scritta con piglio narrativo da romanziere, fatto di parole e soprattutto di silenzi.
Monaldo Leopardi, figura controversa e poco capita della prima metà dell’Ottocento, è raccontato attraverso gli sguardi dei suoi concittadini e dei suoi familiari, attraverso gli studi e la passione per la letteratura e la medicina che lo portarono a far sperimentare a Recanati la vaccinazione antivaiolosa da qualche anno scoperta in Inghilterra. Con sicurezza argomentativa l’autrice affronta temi filosofici, naturalistici e medici, si insinua nelle pieghe della storia e tratteggia il quadro sociale dell’epoca.
Nel primo capitolo viene presentato il protagonista, in qualche modo riscattato dall’ingiusta immagine che lo ha caratterizzato troppo a lungo: «Spirito colto ed eclettico e complesso, Monaldo Leopardi calza e toglie i panni dell’oscurantista con la sorprendente velocità dell’attore». Reazionario illuminato, incline all’astronomia tolemaica, è l’inconsapevole ispiratore della passione letteraria di suo figlio Giacomo, tra i quattro, quello a lui più somigliante.
È il 1801, l’Italia è ancora lontana dall’idea di nazione ma il nord è già su questa strada sotto l’egida di Napoleone. Recanati fa parte dello Stato pontificio, l’ultimo a cedere al destino di uno Stato unitario. L’intera provincia è arretrata e in piena carestia quando Monaldo, governatore della città e amministratore dell’Annona, compie due imprese di enorme valore sociale: introduce la coltivazione della patata e favorisce la vaccinazione contro il vaiolo.
Tutto il secondo capitolo invece è dedicato alla battaglia anche contro i pregiudizi che il conte di San Leopardo è costretto ad affrontare per poter diffondere l’innovativa scoperta di Jenner, destinata a cambiare il futuro dell’umanità. È partendo dalla sua famiglia che Monaldo tenta la sperimentazione e Sordoni alleggerisce la narrazione tecnica entrando nei dettagli della quotidianità di casa Leopardi e descrivendo i timori e l’entusiasmo dei Giovanni, Paolina e Carlo ancora adolescenti, chiamati a sostenere il ruolo di cavie. Vengono riportati alcuni frammenti dei diari di Monaldo da cui si evince il suo approccio empirico all’osservazione del morbo, in tutto aderente al metodo jenneriano e sono passi che rendono il testo fortemente realistico.
Con precisione l’autrice ricostruisce le teorie dello scienziato britannico e illustra in modo meticoloso le fasi che lo portarono all’intuizione che l’inoculazione del cowpox rispetto allo smallpox aveva qualità immunizzanti quasi assolute.
Sullo sfondo del libro la storia di un’Italia non ancora nazione, la resistenza alle innovazioni mediche da parte dello Stato Pontificio, ancora disorientato dall’esperienza traumatica della Repubblica romana e al contrario l’immediata recettività del vaccino nella gran parte dei Comuni centro settentrionali e nel meridione borbonico, fino a che Napoleone lo introdurrà obbligatorio aprendo la strada alla Legge Crispi-Pagliani nei decenni successivi.
Sordoni conclude il trattato con una disamina delle più accreditate teorie mediche, confluite poi nella poetica di Giacomo. D’altronde — come diceva Carlo Dossi — «tra medicina e letteratura corse sempre amicizia».
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