· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Modelli e simboli

Maria l’educatrice,
maestra di riscatto

Giotto, Visitazione, (c. 1306.) Cappella degli Scrovegni, Padova
06 febbraio 2021

Donna forte e autorevole, non sottomessa: analisi storica 


Era maggio 2011 quando fu pubblicato Ave Mary, il libro di Michela Murgia, e il successo di pubblico fu enorme. La scrittrice evidenziava con spietata lucidità come l'immagine della Vergine fosse stata esibita nei secoli come un modello di modestia e sottomissione per le donne, incoraggiate a sopportare sacrifici e violenze. La critica non era nuova; già la filosofa Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso del 1949, aveva ritenuto che Maria raffigurasse la “disfatta della donna” perché presentava una madre che “s'inginocchia davanti al figlio riconoscendo liberamente la propria inferiorità” e qualche anno dopo l'antropologa Ida Magli, sulla stessa linea polemica, aveva messo in risalto la costruzione culturale del mito mariano nel suo studio La Madonna. Prodotto dell’immaginario maschile, la figura simbolica di Maria, spesso celebrata al di sopra dello stesso Cristo, era stata esaltata dal clero celibatario come l'incarnazione del femminile, diventando funzionale al contesto patriarcale della società cristiana che aveva invece emarginato le donne.

Quelle critiche spesso provocatorie avevano messo in luce le manipolazioni dell'immagine della Madre di Gesù e avevano pesato non poco sulla formazione delle donne. Effettivamente, quel sì detto da Maria (Luca 1, 38) era stato tradizionalmente interpretato e proposto dai grandi predicatori e padri spirituali come modello di modestia per le cristiane che nella Madonna dovevano vedere la figura silenziosa e accogliente per eccellenza, immagine paradigmatica dell'essere femminile. La Vergine era diventata così prototipo di umile accettazione non solo per le consacrate, chiamate a sopportare ogni mortificazione, ma anche per le laiche, indottrinate da bambine, nella catechesi ordinaria delle parrocchie, e da adulte, tanto nel segreto del confessionale quanto nelle omelie o altre predicazioni da assimilare nell'ascolto passivo. E anche la straziante immagine della Madre, schiacciata dal dolore per la morte del Figlio, era diventata icona della impotente sofferenza e dell’umana sconfitta.

Oggi le teologhe femministe, consapevoli di alcuni aspetti distorti e discriminatori di questa educazione e di un'esaltazione della Madonna che non ha portato a un cambiamento sostanziale dei ruoli femminili nella Chiesa, si interrogano se lei possa essere considerata ancora un esempio per le donne, rappresentare in qualche maniera una nuova umanità che soffre e che aspira alla libertà, essere vista come “sorella” nella fede e nella lotta, soggetto di emancipazione e di riscatto, e, infine, se possa essere soggetto di formazione per una nuova identità femminile.

In primo luogo, va riconsiderato come Maria non sia un modello da additare alle sole donne e, soprattutto, non sia icona di silenziosa e passiva accettazione; al contrario, lei è testimone di fede attiva e lo è per tutti i credenti. Lo stesso Lutero, che aveva combattuto le deviazioni del culto mariano degenerato spesso in superstizione, aveva scritto il Commento al Magnificat considerando la madre di Gesù modello di vita cristiana, oggetto della pura grazia di Dio, discepola alla sequela di Cristo, simbolo della Chiesa, madre ed educatrice. Anche il Corano ne esalta le virtù additandola come la vera credente a cui si deve onore e rispetto, punto di riferimento spirituale per tutti i musulmani … e non solo per le donne.

In secondo luogo, si deve recuperare il ruolo formativo che ha svolto nella vita di Gesù. L'avvicinarsi oggi all'ebraicità della famiglia di Nazaret aiuta infatti a riscoprire positivamente la figura di “Maria educatrice” determinante nello sviluppo della personalità di Gesù. Nella cultura ebraica il delicato compito dell’educazione religiosa era affidato anche alla madre: era lei ad avere un posto dominante nella casa, considerata un piccolo tempio; a lei il compito di santificare la famiglia attraverso la pratica di precetti legati alla liturgia domestica e la ritualistica del sabato con l’accensione di luci, segno del dono della vita e, dunque, della pace e della gioia. Se Gesù è quell'uomo armonico, integrato e inclusivo che conosciamo lo dobbiamo alla madre.

Inoltre, se ci affidiamo alla narrazione del vangelo di Luca dobbiamo registrare come Maria appaia una ragazza autonoma e decisamente coraggiosa, una donna tutt’altro che subalterna: non interpella il padre, non si consulta con il marito, come sarebbe apparso naturale per quei tempi. Il suo sì non è accettazione passiva e sottomessa, ma risposta al progetto di Dio così come era stato per Abramo (Gen 22, 1), padre nella fede, e per Mosè (Es 3, 4), liberatore del popolo. È lei la protagonista, il prototipo del credente che si affida all’iniziativa salvifica di Dio. Non è una serva umilmente sottomessa, ma è la serva del Signore, cioè colei che rappresenta il popolo di Israele rimasto fedele a Dio (Is 48, 10.20; 49,3; Ger 46, 27-28) e che aspetta con impazienza il compimento della promessa. In lei si riconoscono quelli che nel testo sacro vengono definiti i poveri d’Israele (anawim), coloro che non solo si affidano a Dio e alle sue braccia misericordiose, ma che annunciano il sovvertimento delle logiche del mondo. Ed è proprio quest'immagine di donna forte che ha avuto presa nell'esperienza spirituale di tante donne che sono state formate alla “scuola di Maria”, come quelle religiose del monastero di Sant'Anna a Foligno che hanno voluto rappresentare Maria in cattedra, ritratta nel Tempio con il libro delle Scritture, seduta su un seggio autorevole, nel momento che insegna, spiega e annuncia la Parola di Dio ai dottori della legge e alle compagne che con lei meditano la Bibbia. In questo affresco del xvi secolo, presente nel chiostro verde del monastero, emerge con forza la dimensione educativa di Maria nel contesto di una comunità religiosa di colte e letterate terziarie francescane chiamata dallo storico Jacques Dalarun un vero e proprio “foyer intellettuale” a vocazione educativa, così come spiega il preciso studio di Claudia Grieco Maria insegna ai dottori del Tempio(Effatà 2019).

Nell'esperienza della storia religiosa femminile Maria si presenta sostanzialmente nella veste di figura autorevolmente attiva nella vita dei credenti: non più donna dalla passività oblativa, inerme davanti al dolore, ma, al contrario, madre presente e compassionevole, donna vicina alla sofferenza dell’umanità perché il dolore si trasformi in vita. Pensiamo alle tante fondazioni a carattere assistenziale o educativo, che hanno trovato ispirazione nella figura della Vergine, come per esempio l'ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili, creato nel 1521 a Napoli da Maria Longo o la Compagnia di Maria Nostra Signora, fondata da Giovanna di Lestonac nel 1606 per l'educazione delle ragazze del popolo. È impossibile citare tutte le istituzioni legate a Maria, perché è impresa ardua riannodare le fila di un pullulare di realtà articolate e differenziate che attraversano nel mondo tutti i paesi cattolici e che in lei trovano motivi ispiratori di vita, di fede e di apostolato.

Ma la Madre di Gesù è anche la donna autorevole che guida le sorti della Chiesa da riformare. Lo è stato per Brigida di Svezia, per Caterina da Siena o per Domenica da Paradiso, per fare qualche nome. Per queste mistiche e profetesse la Vergine, che interroga ogni cristiano circa la sua effettiva disponibilità a rendersi duttile nelle mani di Dio, era non solo un incoraggiamento a percorrere le ardue vie della fede, ma anche colei che si fa garante della riforma della Chiesa che necessita di continuo rinnovamento alla luce del messaggio di Cristo.

Maria di Nazaret, dunque, può essere un modello di formazione per le donne d'oggi, nella misura in cui la sua immagine, per non cadere nelle trappole che riducono la sua figura unicamente come modello di docile sottomissione, viene riletta con una diversa chiave interpretativa, aiutando a rappresentare le istanze delle nuove generazioni di donne e il loro bisogno di libertà e autorevolezza.

di Adriana Valerio
Storica e teologa, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università Federico ii di Napoli