· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

L'intervista

La Bibbia non basta
per capire Dio

Liliana Franco Echeverri, inginocchiata al centro, con alcune consorelle (dal suo profilo Facebook)
06 febbraio 2021

Liliana Franco, presidente Clar: le suore devono studiare l'umanità


«Non possiamo restare ancorati al “si è sempre fatto così». Parla della formazione delle suore con il solito tono dolce e suadente. Gloria Liliana Franco Echeverri non teme, però, di prendere posizioni nette. Suora della Compagnia di Maria e presidente della Conferenza latinoamericana delle religiose e dei religiosi (Clar) nonché teologa, disciplina in cui sta terminando il dottorato, afferma senza scomporsi: «Serve audacia».

Che cosa intende?

“Dobbiamo avere l’audacia di rendere le strutture più flessibili, più adattabili alle esigenze dei giovani che entrano nelle nostre comunità. Lasciamo loro il diritto di sognare la vita religiosa che desiderano. Come? Educando al “senso” più che “al dover essere”. E aprendoci alle loro sensibilità, differenti dalle nostre, con un sano dialogo inter-generazionale. A volte, ad esempio, le novizie chiedono di pregare con il Vangelo, invece che seguire orazioni più tradizionali. Perché non provare?”

Ma che tipo di formazione è necessaria ai tempi si oggi?

Il volto di Dio ha i tratti di Gesù di Nazareth. Attraverso le sue parole e i suoi gesti, noi “conosciamo” il Padre. Il Vangelo, la Scrittura sono il centro della formazione delle consacrate e dei consacrati. Gli studi biblici, però, non sono sufficienti, soprattutto per le religiose. Sono imprescindibili e come tali costituiscono parte importante dei percorsi formativi. Devono, però, essere integrati dalle discipline antropologiche, ancora poco presenti. La dimensione umana dell’educazione ha uno spazio troppo esiguo. Il Signore, però, s’è fatto carne. Nelle pieghe di quest’ultima si nasconde la narrazione di un Dio che non smette di parlarci. Conoscere meglio noi stessi e gli altri, ci avvicina a Lui. Questo è ancora più importante per la vita religiosa femminile che ha una forte connotazione comunitaria. Sempre più spesso, in seguito al calo delle vocazioni, le congregazioni mantengono un solo noviziato o juniorato per tutte le aspiranti o le dividono per Continente. Diverse culture convivono gomito a gomito. Non è semplice. A meno che la formazione non sia capace di incorporarle, di farle dialogare.

Dialogo è una parola che lei utilizza spesso, legata alla formazione.

Il dialogo fra le generazioni e quello fra i generi sono l’orizzonte a cui deve tendere una formazione religiosa integrale. Il motore per camminare in quella direzione è l’audacia.

In che senso dialogo fra i generi?

È un nodo cruciale… Donne e uomini consacrati sono chiamati a collaborare nella missione. È necessario, dunque, che imparino a relazionarsi in modo sano. Al momento, molti uomini incidono nella formazione delle religiose. Il contrario, però, purtroppo, resta un’eccezione. Poche donne svolgono un ruolo importante nella formazione dei sacerdoti o dei consacrati. È un grave limite che dobbiamo avere l’audacia di modificare. Nella fede come nella vita, l’ermeneutica femminile è distinta da quella maschile. Gli uomini vengono privati di una ricchezza preziosa. Ho constatato con i miei occhi, nella lotta gli abusi sessuali e di potere, quanto la donna consacrata sia importante nell’accompagnamento delle comunità ferite.

Dialogo e audacia. C’è un’altra parola che potrebbe orientare la formazione delle religiose in America Latina?

Qualità. Nel passato recente, l’America Latina ha fatto enormi passi avanti nel contrasto all’analfabetismo. Ormai le ragazze che bussano alle nostre porte sono almeno diplomate. Spesso, però, le congregazioni non danno la giusta importanza alla necessità di offrire loro una formazione professionale adeguata e di qualità, al contrario di quanto accade nella vita religiosa maschile. Ai consacrati impegnati in carriere universitarie o post-laurea, viene concesso di impegnarsi a tempo pieno negli studi. A noi no. Dobbiamo farlo mentre prestiamo servizio. Il vecchio pregiudizio della suora come “manovalanza”, purtroppo, è duro a morire…

Suor Liliana ha “incontrato” Dio quando era ancora molto piccola. «Avrò avuto circa quattro anni…» racconta. La nonna, che abitava a fianco del convento delle carmelitane missionarie di Medellín, un giorno, le fece appoggiare l’orecchio alla parete. Dall’altra parte del muro, c’era la cappella del Santissimo. “Ascolta come Lui ti ama e digli che anche tu lo ami”, disse l’anziana alla nipotina. «In quel momento ho avuto la mia prima immagine nitida di Dio, un Padre-Madre pieno d’amore. Questa è la grande sfida della formazione religiosa: trasmettere l’autentica immagine del Signore. Il resto è conseguenza».

Oggi la colombiana Suor Liliana preferisce definirsi semplicemente “donna e discepola”.

di Lucia Capuzzi