
La «fedeltà nella perseveranza» è un percorso virtuoso proprio — e non esclusivo — dello stato di vita consacrata ed è inscritto nella identità stessa dei consacrati e delle consacrate come riconosciuta dalla Chiesa. In questo orizzonte si collocano gli Orientamenti Il dono della fedeltà. La gioia della perseveranza. «Manete in dilectione mea» (2 febbraio 2020). Oltre, dunque, una considerazione sul fenomeno delle “uscite” dallo stato di vita consacrata. Rimane il fatto che non si può rimanere indifferenti di fronte all’entità del fenomeno. La parola crisi non va enfatizzata, il nostro tempo ne riscrive gli impatti con tutte le oscillazioni prevedibili o inaspettate. Si tratta, infatti, di non rinchiudere la crisi in un “orizzonte definitivo”. Occorre impegnarsi, già da oggi, a contenere gli effetti più problematici. Nel prossimo futuro ci potremo trovare, forse, davanti a situazioni non facilmente gestibili.
La perseveranza diviene laboratorio della fedeltà, con l’accento sulla parola labor (fatica). Il documento della
Il progresso nel discernimento è, allo stesso tempo, invocarne il dono: «Oggi una persona consacrata che non sviluppi il dono del discernimento, anche se a livello elementare, è una persona con una grave carenza[...] Il dono del discernimento è quello che dà la maturità necessaria ad una persona consacrata. Oggi questo è fondamentale nella vita consacrata: la maturità» (Papa Francesco, La forza della vocazione). Infatti la fedeltà nella perseveranza, come percorso di maturità di una persona consacrata, diviene criterio di discernimento per tutte le scelte nelle quali si realizza l’autenticità di un progetto di vita alla sequela del Signore. Progetto che comporta una ascesi per poter raggiungere le mete che si sono prefissate personalmente e pubblicamente. Il consacrato e la consacrata impegnano la propria responsabilità e, allo stesso tempo, implicano la responsabilità altrui (superiori, formatori, fratelli, sorelle) nel proprio percorso di formazione.
Il discernimento è un tema chiave del documento Manete in dilectione mea (Gv 15, 9). Il consacrato e la consacrata dispongono indubbiamente di risorse interiori e personali, ma necessitano anche di aiuti esterni che forniscono dei criteri allo spirito, dei sostegni al desiderio. Per questo il discernimento non può essere l’esercizio della persona da sola, perché essa ha bisogno del dialogo, dell’ascolto e della parola per vedere chiaro e desiderare con forza e riorientare la vita. Aiuti che servono il discernimento, nella declinazione possibile di una matura formazione alla libertà nella responsabilità, non per sostituirla. Infatti si tratta anzitutto di formare la coscienza. «La “chiamata” risuona nella coscienza — afferma Maurizio Chiodi — ma nello stesso tempo la trascende. Per questo, essa ha una forma responsiva, responsoriale e responsabile: è all’altro che la persona risponde e risponde di sé. Ciò significa che la coscienza si struttura nel dialogo con l’altro da sé. È questi che la chiama e chiamandola la sollecita e suscita la sua risposta. [...] La coscienza morale è la risposta ad una voce che chiama, sollecita, muove ad agire, a rispondere. Siamo anticipati da un dono, una grazia, una promessa che ci dischiude un compimento, la felicità».
Gli Orientamenti vorrebbero far prendere coscienza del fenomeno degli abbandoni soprattutto per provocare la domanda sulla fedeltà nella perseveranza; in particolare, nei percorsi di formazione e nelle successive esperienze di comunità/missione dei consacrati e delle consacrate. Un appello per tutti che fa propria una convinzione di Papa Francesco: «Credo che alla base di ogni vera opzione della vita consacrata ci siano queste parole: Cammina alla mia presenza e sii integro [Gen 17, 1]» (La forza della vocazione).
di Pier Luigi Nava
Religioso della Congregazione della Compagnia di Maria (monfortani), sottosegretario della