· Città del Vaticano ·

Nella Giornata mondiale per i malati di lebbra l’impegno dell’Associazione amici di Raoul Follereau

Concorso di tutti per estirpare una piaga infinita

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30 gennaio 2021

Antonio è guarito. Ho potuto costruirsi una vita in Mozambico, il suo Paese. Ma i segni della malattia li porta ancora sulle mani e nel cuore. Cicatrici e mutilazioni profonde che non lo abbandoneranno più. La lebbra segna il suo cammino fin da quando, bambino, la mamma si accorge che sulle mani ha qualcosa. I curatori tradizionali non possono nulla. I medici invece sì. Lo ricoverano, lo sottopongono alle cure necessarie e lui guarisce. Gli arti però sono stati compromessi. La gente lo vede e non gli offre un lavoro. Le donne non vogliono sposarlo. «Le discriminazioni sono continuate, tradizionalmente a un malato di lebbra veniva costruita una capanna e aiutato a vivere, ma lontano dagli altri», ricorda. «Ho avuto difficoltà a trovare una moglie. Le donne mi dicevano che non ero capace di mantenere una famiglia. Una volta mio fratello maggiore mi ha presentato una donna che aveva già alcuni figli. Ci siamo conosciuti, ma lei aveva dubbi. Allora mio fratello le ha detto: prova! È andata bene, ho avuto sette figli con lei e tutti sono andati a scuola».

In Europa la lebbra sembra un male antico. Una patologia che terrorizzava il Medioevo, ma che adesso non fa più paura. Nei Paesi del sud del mondo, soprattutto in Asia e in Africa, è una realtà pericolosa. Ed è per questo che, ogni anno, l’ultimo fine settimana di gennaio, si celebra in tutto il mondo la Giornata per i malati di lebbra. Secondo i dati pubblicati all’inizio di settembre dall’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2019, le persone affette da lebbra erano 202.185. Al primo posto l’India (114.451), seguita da Brasile (27.863) e Indonesia (17.439). Questi tre Paesi insieme ospitavano l’80,2 per cento dei malati. Altri Paesi, però, contavano un numero significativo di persone colpite: Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Filippine, Madagascar, Myanmar, Mozambico, Nepal, Nigeria, Somalia, Sri Lanka, Sud Sudan e Tanzania. «Nonostante sia evidente una riduzione graduale e uniforme — spiegano i responsabili dell’Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo) che da sessant’anni si occupa dei malati di lebbra — il numero delle persone diagnosticate negli ultimi sei anni (2014-2019) diminuisce lentamente». La cifra annuale dei contagiati dalla malattia, secondo Aifo, non permette però di comprendere a fondo il dramma della lebbra. Per capire meglio servono altri parametri. Come la percentuale dei minori di quindici anni colpiti, che è ancora alta nei Paesi endemici (7,4 per cento) e dimostra che il contagio è attivo e precoce. Come la percentuale di persone diagnosticate con disabilità gravi (5,3 per cento), che è ancora elevata a causa del numero insufficiente e della scarsa qualità dei servizi di diagnosi e trattamento.

La lebbra è una patologia contagiosa causata da un batterio, il Mycobacterium leprae. Se non adeguatamente trattata può causare disabilità permanenti, perché il batterio colpisce i nervi periferici degli arti superiori, inferiori e dell’apparato oculare. «Attualmente esistono farmaci efficaci per il trattamento — continuano i responsabili dell’Aifo — e la strategia principale per il controllo della malattia si deve basare quindi sulla diagnosi precoce e il trattamento, ma nella storia della lebbra un punto è chiaro: il controllo della malattia, con effetti duraturi, richiede un miglioramento socio-economico della popolazione. La diagnosi è formulata troppo tardi, a causa delle difficoltà di accesso ai centri di salute e della scarsa qualità dei servizi di trattamento. La precocità della diagnosi è essenziale, oltre che per interrompere la catena di trasmissione, anche per evitare l’instaurarsi delle disabilità. In molti casi la persona, al momento della diagnosi, presenta disabilità fisiche gravi e irreversibili». La pandemia di covid-19 ha avuto effetti negativi sui programmi di controllo della lebbra, che hanno dovuto rallentare e rimandare molte delle loro attività «Nei Paesi dove opera Aifo — spiegano gli operatori — a fianco delle attività per contenere l’infezione da coronavirus si è continuato a distribuire il trattamento contro la lebbra, anche attraverso agenti di salute comunitari. Si è così evitato che i pazienti si recassero ai centri sanitari e rischiassero di infettarsi con il covid-19. I servizi specializzati nel trattamento delle complicazioni, con grandi difficoltà, hanno comunque mantenuto le porte aperte per rispondere alle emergenze della malattia».

La lotta contro la lebbra quindi prosegue. L’obiettivo è arrivare nel 2030 a un numero di nuove persone diagnosticate annualmente di circa 63.000 in tutto il mondo, con un tasso di nuovi casi con disabilità gravi ridotto a 0,12 per milione di abitanti e un tasso di nuovi casi con meno di quindici anni ridotto a 0,77 per milione di bambini. «Per sostenere i progressi verso questi obiettivi — concludono i responsabili di Aifo— è necessaria una leadership attiva da parte dei governi dei Paesi endemici. Questi dovrebbero essere sostenuti da un’accelerazione degli sforzi da parte di tutti i partner internazionali e da una efficace fornitura ininterrotta e gratuita di farmaci per la terapia». Tutto ciò affinché i figli e i nipoti di Antonio guardino alla lebbra come un male che non fa più paura.

di Enrico Casale