· Città del Vaticano ·

Dibattito
La società si interroga dopo i tragici fatti di Palermo

La sfida dei social

Il logo dell’applicazione Tik Tok su un cellulare (Ansa)
29 gennaio 2021

Le prime settimane del 2021 sono state caratterizzate da una vera e propria bufera mediatica intorno ai social network. Dopo l’intenso dibattito scatenato dal blocco degli account di diverse piattaforme appartenenti all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, infatti, adesso a far discutere è un’altra vicenda, di natura completamente differente ma di certo non meno importante.

L’evento scatenante di questo nuovo dibattito è stata la tragica vicenda avvenuta a Palermo lo scorso 20 gennaio, quando una bambina di 10 anni è stata trovata priva di sensi nel bagno della sua abitazione, con la corda di un accappatoio legata intorno al collo e il suo cellulare che riprendeva la scena. La piccola è poi deceduta in ospedale, nonostante gli sforzi dei medici per rianimarla. L’allarmante ipotesi dietro l’accaduto, che sembra guadagnare sempre più validità col tempo, è che la bambina avesse partecipato a una sfida virale sul social network TikTok, estremamente popolare tra i giovanissimi. La prova, che viene chiamata “Blackout Challenge” o “Hanging Challenge”, consisterebbe appunto nello stringere una corda intorno al collo e cercare di resistere per più tempo possibile. Il cellulare della vittima è stato sequestrato dalle forze dell’ordine per accertamenti.

Il 22 gennaio, il Garante per la protezione dei dati personali ha predisposto il blocco di TikTok fino al 15 febbraio per tutti gli utenti «per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica». I portavoce dell’autorità hanno aggiunto che la piattaforma social cinese era già stata oggetto delle sue attenzioni a dicembre. In quell’occasione il Garante ne aveva infatti contestato la facilità nell’aggirare il divieto di iscrizione per i minori di 13 anni, la poca trasparenza nelle informazioni destinate agli utenti e la mancanza di rispetto della privacy prevista da alcune delle impostazioni predefinite. In seguito, il Garante ha aperto anche due fascicoli su Instagram e Facebook, sempre per accertamenti riguardo alle modalità di verifica del limite di età necessario per l’iscrizione.

Un’altra tragedia si è poi verificata a Bari lo scorso 25 gennaio, quando un bambino di 9 anni è stato trovato impiccato nella sua camera. Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che il piccolo fosse rimasto colpito dal dramma di Palermo e ne avesse parlato con i genitori: ciò suggerirebbe agli inquirenti la preoccupante ipotesi di un gesto di emulazione. Questi avvenimenti tragici richiamano le tristemente note vicende legate alla “Blue Whale Challenge”, il fenomeno iniziato in rete nel 2016 che ha causato innumerevoli decessi e atti di autolesionismo fra i giovanissimi di tutto il mondo, in particolare in Russia.

Di fronte a simili eventi drammatici, viene naturale chiedersi quali misure si possano adottare per scongiurare la loro ripetizione. E una delle risposte più immediate si trova certamente nel rapporto e nella comunicazione fra genitori e figli. In un momento come quello attuale è senza dubbio più importante che mai per la sicurezza dei bambini che le famiglie esercitino un’attività di prevenzione e di informazione sulle piattaforme social. Attività che oggi sono senza dubbio più difficili da svolgere che in passato, vivendo noi in un periodo storico altamente mutevole e caratterizzato da tempi frenetici tanto nel lavoro quanto nel tempo libero. E per tutti questi motivi nelle famiglie gli adulti sono chiamati a compiere uno sforzo ulteriore, comunicando con i propri figli per cercare di comprenderli fino in fondo nella loro sfera, in modo da esercitare una vicinanza autentica e profonda, al di là di quella fisica. Ma sarà veramente sufficiente?

Le tendenze digitali sembrano essere l’indicatore più evidente del ritmo frenetico della società contemporanea, e la velocità con cui queste cambiano spaventa le famiglie. I genitori sono preoccupati di non riuscire a rimanere al passo con gli interessi dei figli e che questi trovino nuovi modi per imbattersi in contenuti per loro inadatti e pericolosi senza averne la piena coscienza. Una simile situazione potrebbe dunque richiedere un cambiamento più vasto e più profondo, che riguardi le nostre abitudini quotidiane ma anche la nostra visione del mondo in senso esteso.

Sembra ormai lontanissimo il tempo in cui si diffuse una delle prime “challenges” virali, la “Ice Bucket Challenge”, lanciata nel 2014 dalla newyorkese Jeanette Hane con il nobile scopo di raccogliere fondi per la ricerca sulla sclerosi multipla amiotrofica (Sla) da cui il marito era affetto.

di Giovanni Benedetti