· Città del Vaticano ·

Rileggendo il romanzo «Se un Dio pietoso» di Giovanni D’alessandro

Non straziarmi
con la speranza

DioPietoso_x.jpg
26 gennaio 2021

Ormai ha venticinque anni Se un Dio pietoso folgorante romanzo d’esordio di Giovanni D’Alessandro (che colpì per la sua acuta bellezza, tra gli altri, anche critici severi come padre Ferdinando Castelli e Giovanni Casoli), incentrato sul mistero della paternità, naturale e artistica.

Nelle prime pagine leggiamo la premessa di questo scrupoloso romanzo storico: il dramma Berardo, magnifico scultore e architetto, ricercato e glorificato in tutte le corti europee, che perde il figlio per il terremoto della sua città Sulmona: «La pietra — marmo granito porfido — era stata tutta la sua vita. Eppure dalla pietra era venuta la sua morte».

Sulla pietra Berardo, lasciando tutti gli altri lavori, si butta disperatamente cercando di ricavarne nuova vita e scolpisce un blocco che ha come tema la Pietà, un Cristo morto che, inevitabilmente, ha le sembianze identiche a quelle del giovane figlio morto.

Nelle ultime pagine il racconto si trasforma in meditazione, invocazione, preghiera rivolta direttamente a Cristo:

«Hai detto: io sono la via, la verità, la vita; ma vai incontro alla morte. Lo sai e non te ne ritrai. La potenza che traspare dalle tue parole è enorme, e se ne va per un percorso stranissimo, anelando ad annullarsi.

«Si alzò, chinò la faccia contro quella della statua quasi a toccarla, respirandole contro.

«Se c’è un senso, allora, dev’essere qui, nel venerdì santo, in questo tuo apparente morire, in questo tuo transitorio trapassare, per poi risuscitare il giorno di Pasqua. Tu parli per contraddizioni, sempre più eloquenti ed estese. Questa è la più grande, che si estende tra i massimi opposti, morte e vita. Il far vedere che la morte, l’ultima ad essere sconfitta, non esiste è solo la contraddizione più grande, la parabola finale.

«Hai detto: ti sondo, creta dove ho imprigionato il mio pneuma. Se faccio così, è perché so che posso, perché ti ho messo dentro un richiamo di divinità, per il quale tu non puoi non sentirmi. […] Hai detto: dove mi vedrai morto, sappimi vivo. Dove mi scorgerai, Lazzaro coperto di piaghe, riconoscimi. Dove m’incontrerai, sul ciglio della strada, ferito dai briganti, inginocchiati a me. Dove mi scoprirai affamato e assetato di giustizia, perseguitato e in ogni modo calunniato, prostrati innanzi a me, io sto esultando nella mia potenza. Dovunque ti ergerai, sarò lì dappresso, nel bisogno di te, di cui farò il mio segnale. Se i tuoi occhi dovranno abbassarsi alla terra per guardarmi, non dimenticare! Tanto io ti sovrasto in quel momento, nel bisogno e nella gloria, quanto il cielo sovrasta quella terra. [...] Faccio partecipare te, servo inutile, canna percossa dal vento, alla mia regalità, solo quando non credi di elevarti sugli altri, ma ti fai pari a loro, prossimo a loro.

«Non mi interessano i soli di cui ho costellato i miei cieli, mi interessa il tuo farti scintilla, emergendo dal buio, perché nel tuo brillare ritrovo la mia essenza, che è luce. In questa lotta ho voluto animarti, per vederti nel momento in cui tu vinci le tenebre. Se ti provo (in pallide prove, a fronte della gloria che ti ho già preparato, dove tutto ti viene restituito — molto più! di ciò che transitoriamente ti è stato tolto) è perché in quell’attimo sei più simile a me.

«È questa la tua voce, Dio? Rispondimi, non straziarmi con la speranza. [...] — Si lasciò ricadere sullo scranno, appoggiando la fronte sulla mano. Era stanchissimo e, mentre il calore iniziava a diffondersi, chiuse gli occhi e lasciò fluire un pensiero, diretto a se stesso, al figlio, ad Angiolino, al fuoco e quant’altro poteva sentirlo — «Se esisti, o dio, se sei pietoso della tua creatura e la circondi di un amore tanto vasto e profondo da annullarne anche la percezione; se hai già composto la nostra pena in una gioia celeste, quale noi non potremmo sperare; se ci hai riunito in te a chi, ai nostri occhi, parrebbe solo perduto; se sei potenza misteriosa che agisce senza farsi  vedere; per quel tutto, per quel nulla  che sei e che a noi non è dato sapere, ades domine, sii presente Signore». (A. M.)