· Città del Vaticano ·

Intervista al patriarca Louis Raphaël I Sako

Dal Papa un messaggio
di speranza per l’Iraq

Il mercato dove è stata compiuta la strage del 21 gennaio (Epa)
26 gennaio 2021

Il patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphaël i Sako, a poche settimane dal viaggio di Papa Francesco in Iraq, affronta le varie e dolorose questioni che coinvolgono il Paese del Golfo. Da oltre quattro decenni l’Iraq non conosce la pace. Oggi il ritorno del terrorismo, le tensioni sociali e la pandemia acuiscono ancora di più la crisi di un Paese che chiede solidarietà, nella speranza di tornare alla normalità. Il sedicente stato islamico (Is) è drammaticamente tornato protagonista, portando a termine una serie di raid e attentati, il più grave dei quali la settimana scorsa con il duplice attacco suicida nel centro di Baghdad, che ha causato la morte di 32 persone e più di cento feriti. Il ritorno della violenza sta provocando «grande preoccupazione e anche una infinita tristezza nella gente — afferma il porporato —. Queste persone che sono state uccise sono gente povera, veramente povera», al di fuori delle motivazioni più o meno politiche che possono esserci dietro episodi del genere. «Purtroppo questi attacchi hanno un fine politico — dice il patriarca — in quanto rappresentano un messaggio al governo di Baghdad e anche al nuovo presidente americano», in vista del ridimensionamento della presenza militare statunitense in Iraq. Intanto il governo ha preso delle misure. E questa è solo una delle dolorose questioni che coinvolgono oggi il Paese, ma la popolazione, nonostante questo momento difficile, continua a sperare nella pace per l’Iraq, abbiamo chiesto al cardinale Sako. «Sì, c’è questa speranza, la gente — ha risposto — chiede sempre quando arriverà la pace, la tutela dei diritti e della dignità umana, anche se da quasi 20 anni siamo in una situazione simile, c’è confusione, anarchia». Il patriarca caldeo fa capire che in questo momento ci vuole tempo e pazienza, ma «prima del tempo — afferma — ci vuole buona volontà da parte dei politici e se questa non c’è, non ci sarà mai la pace». Il contesto iracheno vede sul terreno, oltre all’esercito regolare, anche le milizie. È opportuno che tutti si adeguino alle direttive del governo di Baghdad, che «deve imporre il ritiro delle armi. Tutto — sottolinea i cardinale Sako — deve rimanere nelle mani del governo e non di fazioni o di partiti politici».

Intanto le comunità cristiane in Iraq sono in preghiera e digiuno a Ninive, nella regione che hanno dovuto abbandonare a causa della perdurante situazione di incertezza e insicurezza, per chiedere al Signore pace e la fine della pandemia di coronavirus. La media dei contagi in Iraq non è alta, ma comunque ogni giorno si registrano 500 o 600 contagi. Per il porporato «questo gesto di andare a Ninive in preghiera ha un doppio significato: prima di tutto affermare che Dio guarda indistintamente a tutti; poi è una forte richiesta al Signore, affinché ci salvi dal covid-19. Viviamo nella paura del contagio. Dunque, dobbiamo pregare — esorta Sako — e chiedere l’aiuto di Dio per essere salvati e perché finisca questa pandemia per tutto il mondo. Noi non pensiamo solo a noi in Iraq, ma a tutti gli uomini nel mondo».

I cristiani dell’Iraq hanno la consapevolezza di non essere una cosa a parte, ma di far parte di un Paese in difficoltà e di dover condividere il bene e il male. «Noi non viviamo da soli, siamo con tutti gli altri. Il loro dolore è il nostro, dunque siamo fratelli e sorelle di una grande famiglia che si chiama Iraq». Il sogno degli iracheni è che si realizzi un grande desiderio, l’incontro con Papa Francesco, previsto dal 5 all’8 marzo. «Noi stiamo preparando tutto insieme con il governo — sottolinea Sako —. Per tutti è un evento straordinario. Il Papa verrà a dire: “Basta guerre, basta violenza, cercate la pace, la fraternità e la tutela della dignità umana”. In Iraq c’è un forte bisogno — ci confida in modo accorato il patriarca caldeo — di due cose: conforto e speranza, che finora ci sono stati negati». Dunque, si tratta di una visita dai toni piuttosto spirituali, nella quale non si darà tanta importanza al folklore, alla festa. Sarebbe perdere il vero senso della visita, afferma Sako. Il viaggio del Papa è un evento molto importante per i cristiani, ma anche per tutti in Iraq, i musulmani, le altre realtà religiose e i vertici di governo. Conforto e speranza, due doni preziosi che Papa Francesco porterà al Paese del Golfo.

di Giancarlo La Vella